lunedì 28 settembre 2015

IL GALLO GIGANTE NERO

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Razza maestosa, con il piumaggio completamente nero, setoso, dai riflessi verdi metallici. La cresta grande, color rosso vivo, è unica, a cinque punte. Mansueta e ottima covatrice, si era diffusa nelle fattorie di tutta la provincia di La Spezia. Una delle ragioni del suo abbandono è indubbiamente la sua caratteristica principale, ovvero le dimensioni, assolutamente inadatte ai consumi delle piccole famiglie moderne. Con una sola gallina di razza gigante nera è possibile sfamare almeno sei commensali: se consideriamo che il mercato attuale richiede polletti di piccole dimensioni, è chiaro che la promozione di questa razza è un’impresa complessa.




Dopo anni e anni di incroci finalmente la razza è stata recuperata e stabilizzata; tranne le zampe che un tempo erano rosate, gli altri caratteri sono i medesimi di ottant’anni fa.







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IL ROSMARINO

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Il rosmarino è un arbusto appartenente alla famiglia delle Lamiaceae.

Originario dell'Europa, Asia e Africa, è ora spontaneo nell'area mediterranea nelle zone litoranee, garighe, macchia mediterranea, dirupi sassosi e assolati dell'entroterra, dal livello del mare fino alla zona collinare, ma si è acclimatato anche nella zona dei laghi prealpini e nella Pianura Padana nei luoghi sassosi e collinari.

Pianta arbustiva che raggiunge altezze di 50–300 cm, con radici profonde, fibrose e resistenti, ancoranti; ha fusti legnosi di colore marrone chiaro, prostrati ascendenti o eretti, molto ramificati, i giovani rami pelosi di colore grigio-verde sono a sezione quadrangolare.

Le foglie, persistenti e coriacee, sono lunghe 2–3 cm e larghe 1–3 mm, sessili, opposte, lineari-lanceolate addensate numerosissime sui rametti; di colore verde cupo lucente sulla pagina superiore e biancastre su quella inferiore per la presenza di peluria bianca; hanno i margini leggermente revoluti; ricche di ghiandole oleifere.

I fiori ermafroditi sono sessili e piccoli, riuniti in brevi grappoli all'ascella di foglie fiorifere sovrapposte, formanti lunghi spicastri allungati, bratteati e fogliosi, con fioritura da marzo ad ottobre, nelle posizioni più riparate ad intermittenza tutto l'anno.
Ogni fiore possiede un calice campanulato, tomentoso con labbro superiore tridentato e quello inferiore bifido; la corolla di colore lilla-indaco, azzurro-violacea o, più raramente, bianca o azzurro pallido, è bilabiata con un leggero rigonfiamento in corrispondenza della fauce; il labbro superiore è bilobo, quello inferiore trilobo, con il lobo mediano più grande di quelli laterali ed a forma di cucchiaio con il margine ondulato; gli stami sono solo due con filamenti muniti di un piccolo dente alla base ed inseriti in corrispondenza della fauce della corolla; l'ovario è unico, supero e quadripartito.

L'impollinazione è entomofila poiché avviene tramite insetti pronubi, tra cui l'ape domestica, attirati dal profumo e dal nettare prodotto dai fiori.

I frutti sono tetracheni, con acheni liberi, oblunghi e lisci, di colore brunastro.

Richiede posizione soleggiata al riparo di muri dai venti gelidi; terreno leggero sabbioso-torboso ben drenato; poco resistente ai climi rigidi e prolungati.

Si può coltivare in vaso sui terrazzi, avendo cura di porre dei cocci sul fondo per un drenaggio ottimale, rinvasando ogni 2-3 anni, usando terriccio universale miscelato a sabbia, concimazioni mensili con fertilizzante liquido miscelato all'acqua delle annaffiature, che saranno controllate e diradate d'inverno.

In primavera si rinnova l'impianto cimando i getti principali, per ottenere un aspetto cespuglioso, senza dover ricorrere ad interventi di potatura.

Si moltiplica facilmente per talea apicale dei nuovi getti in primavera prelevate dai germogli basali e dalle piante più vigorose piantate per almeno 2/3 della loro lunghezza in un miscuglio di torba e sabbia; oppure si semina in aprile-maggio, si trapianta in settembre o nella primavera successiva; oppure si moltiplica per divisione della pianta in primavera.

Per effetto dei meccanismi di difesa dal caldo e dall'arido (tipici della macchia mediterranea), la pianta presenta, se il clima è sufficientemente caldo ed arido in estate e tiepido in inverno, il fenomeno della estivazione cioè la pianta arresta quasi completamente la vegetazione in estate, mentre ha il rigoglio di vegetazione e le fasi vitali (fioritura e fruttificazione) rispettivamente in tardo autunno o in inverno, ed in primavera. In climi più freschi ed umidi le fasi di vegetazione possono essere spostate verso l'estate. Comunque in estate, specie se calda, la pianta tende sempre ad essere in una fase di riposo.

Il rosmarino è una delle piante aromatiche più conosciute. Molto apprezzata sia in cucina che nell’ambito dei rimedi naturali, le proprietà del Rosmarinus officinalis lo rendono consigliabile per una varietà importante di disturbi. Tra le possibili applicazioni soprattutto il benessere delle alte vie respiratorie.

All’interno del rosmarino trova posto un’ampia varietà di oli essenziali tra i quali spicca l’eucaliptolo, che dona a questa pianta aromatica ottime proprietà balsamiche. Presenti anche alfa e beta pinene, borneolo, canfene, canfora, cineolo, diterpeni, linalolo e triterpeni.

Presenti anche buone quantità di antiossidanti, tra i quali l’acido rosmarinico (polifenolo) e alcuni altri acidi fenolici, la colina, la vitamina C e i tannini.
Le proprietà balsamiche fornite dall’eucaliptolo donano al rosmarino un’efficace azione di contrasto dei disturbi delle vie aeree, contribuendo a migliorare la situazione in caso di raffreddore, congestione nasale e tosse. Possibile utilizzare questa pianta per realizzare un decotto, con il quale poi eseguire dei suffumigi.

Recenti studi hanno inoltre collegato l’aroma emanato dal rosmarino al miglioramento della memoria e come possibile rimedio naturale preventivo, insieme con la menta, per contrastare l’Alzheimer. A sostenerlo sono stati rispettivamente i ricercatori della Northumbria University di Newcastle, nel Regno Unito, e della Saint Louis University School of Medicine, negli USA.
Uno studio dell’Università dell’Illinois (USA) attribuisce invece al rosmarino e all’origano una certa efficacia nel limitare la presenza di glucosio nel sangue, offrendo di conseguenza protezione dal diabete.

Adatto per la profumazione degli ambienti, contribuendo così anche a migliorare le prestazioni cognitive, favorisce un generale rilassamento. Il suo contenuto di vitamine e antiossidanti si rivela poi utile nel mantenere in salute la pelle e contrastare alcune forme tumorali.
Traggono beneficio dal rosmarino anche i capelli, con riferimento alla minore tendenza a diventare bianchi e a una ridotta perdita. L’efficacia di questa pianta aromatica porta benefici anche al fegato, del quale favorisce lo smaltimento delle tossine accumulate.

Il rosmarino è una delle erbe aromatiche più antiche, tanto che i Greci e gli Egizi ne conoscevano già le proprietà; oggi è presente un po’ dappertutto e non vi è casa di campagna o orto che non ne possegga un cespuglio.

Le foglie di rosmarino contengono saponine, acido rosmarinico, flavonoidi e tannini. Molte di queste sostanze, una volta isolate e analizzate, hanno mostrato forti proprietà antiossidanti.

Cento grammi di foglie fresche di rosmarino contengono ben 6,65 mg. di ferro, circa l’80% della dose giornaliera consigliata.

Il rosmarino è anche un’ottima fonte di Vitamina C: 100 gr. di rosmarino contengono 22 mg. di questa preziosa vitamina.

Secondo recenti ricerche, l’uso regolare del rosmarino mantiene giovani e, grazie al significativo apporto di ferro, migliora la circolazione sanguigna, aiutando soprattutto chi si sente privo di forze e debilitato, magari a causa di cali di pressione. Grazie ai suoi potenti antiossidanti il rosmarino svolge un ruolo protettivo dei riguardi del fegato, organo che risente più di tutti gli effetti dello stress.

Secondo uno studio condotto dall’Università di Kioto, in Giappone, il rosmarino contiene una sostanza, l’acido carnosico, che ha la proprietà di combattere i radicali liberi del cervello; questo significa che il rosmarino aiuta a prevenire l’invecchiamento celebrale.

Uno studio condotto dal Sanford-Burnham Medical Research Institute, il rosmarino avrebbe proprietà molto salutari nei confronti degli occhi, in particolar modo contro la degenerazione maculare.

Già nell’epoca romana il rosmarino veniva utilizzato per uso curativo al fine di lenire il mal di denti o slogature e torcicollo; oggi lo si usa per curare la colite o la nausea, come rimedio ai dolori reumatici, le fitte cardiache o i problemi di digestione.

Viene impiegato in cosmetica grazie alle sue proprietà deodoranti, tonificanti e purificanti; utile in caso di pelle grassa.

È un ingrediente molto diffuso per gli shampoo, nello specifico per la fortificazione del capello.
Come per tutte le piante con proprietà stimolanti, il rosmarino va assunto con attenzione, soprattutto in caso di pressione alta ed insonnia. Non usare in gravidanza e non impiegare l’olio essenziale in soggetti affetti da epilessia.

Il rosmarino fresco, laddove non sussistono problemi di pressione alta, alle dosi normali consigliate ha solo effetti benefici; solo ad alti dosaggi la pianta può provocare disturbi di tipo gastrico.

Nel medioevo il rosmarino veniva utilizzato durante gli esorcismi per scacciare gli spiriti maligni dalle persone possedute.

Per lunghissimo tempo venne impiegato come sostanza fumigante per disinfettare le stanze dei malati.

Ancora oggi i rametti di rosmarino vengono riposti in cassetti ed armadi per profumare e tenere alla larga le tarme dagli indumenti.

Durante la civiltà egizia il rosmarino era addirittura utilizzato come simbolo di eternità tanto che venne rinvenuto in alcune tombe di faraoni.

Grazie alla sua proprietà di rinforzare la memoria è appunto ritenuta la pianta del ricordo; nella celebre opera di Shakespeare Ofelia pronuncia queste parole: “Ecco laggiù il rosmarino, la pianta del ricordo“.




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venerdì 25 settembre 2015

LA CACCIA

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E' così paradossale da non credersi, eppure, all'apertura generale della caccia, dopo le preaperture in quasi tutte le regioni  -  uno studio firmato da Enpa-Ente nazionale protezione animali indica come, allo stato attuale, l'attività venatoria sia illegittima in buona parte d'Italia. Così, con una lettera aperta rivolta al premier Matteo Renzi e ai ministri di Agricoltura e Ambiente, Maurizio Martina e Gian Luca Galletti, la stessa associazione, cui si uniscono Lac-Lega per l'abolizione della caccia e Lav, chiede che si rientri nell'obbedienza alla legge.

Stando al dossier, infatti, si rivelano numerose le amministrazioni in grave difetto riguardo il Pfvr-Piano faunistico venatorio regionale, di cui la legge quadro nazionale 157/92 su fauna selvatica e caccia impone il rinnovo ogni cinque anni. Il senso è valutare a intervalli regolari lo stato di salute della biodiversità e del territorio, minato da stravolgimenti climatici, incendi, cementificazione, veleni, e dalla stessa caccia, soggetto dunque a cambiamenti drastici, in modo da stabilire quali e quante specie sacrificare all'hobby dei seicentomila cacciatori nostrani. Senza, dice chiaramente la normativa, non si può sparare.

Ma, a quanto si apprende dall'indagine delle associazioni, l'ultimo Pfvr del Lazio risale al 1998. Sardegna e Molise si ritrovano nella medesima condizione, il secondo persino sordo alla sollecitazione di qualche sua provincia. I tre Pfvr del Piemonte, invece, datati 1998, 2010 e 2012, sarebbero rimasti solo atti della Giunta regionale, mai stati sottoposti al voto del Consiglio né di conseguenza formalizzati, così da non avere alcuna  valenza giuridica. La Lombardia fa di meglio: non ha mai avuto un Pfvr. "Da quanto abbiamo appreso, nel 2003 fu preparata una proposta, portata in Consiglio - che, secondo la legislazione regionale, deve approvarla -, ma si arenò", racconta Annamaria Procacci, consigliere nazionale Enpa, che fu tra i legislatori della 157/92.

Neppure il Friuli aveva mai avuto un Pfvr, e ha approvato il primo nel luglio scorso, in ritardo di quasi vent'anni: "Entrerà in vigore solo nella stagione venatoria  2016-2017" dice Alessandro Sperotto, avvocato e responsabile Lac per il Friuli Venezia Giulia: "l'approvazione è avvenuta in pendenza di un ricorso delle associazioni con cui se ne rilevava l'incredibile mancanza. Anche quest'anno, quindi, in Friuli si caccerà illegittimamente. Sarebbe tra l'altro bene informare i cittadini italiani che senza la debita pianificazione può decadere l'articolo 842 del Codice Civile, quello che consente ai cacciatori di entrare e sparare nei fondi privati non recintati".

La lista è ancora lunga: in Veneto, regione particolarmente provata da opere pubbliche, siccità e alluvioni, l'ultimo Pfvr risale al 2007, prorogato al 2016 benché nel 2014 la Giunta proponesse un nuovo Piano 2014-2019. Ancora, fra le regioni che presentano ritardi rispetto ai precetti legislativi, figura la Calabria, mentre risale addirittura al 1997 il Pfvr della Basilicata: "Non è facile ricavare tutte le informazioni per una mappatura nazionale completa e approfondita. Ci appelliamo quindi al Governo reclamando trasparenza e informazione, oltre all'imprescindibile rispetto della legge" dicono le associazioni.

L'art.10 comma 1 della legge n.157/92 recita: "Tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto a pianificazione faunistico venatoria finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale e alla sua conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio" e proseguendo " c.2 Le regioni e le province... realizzano la pianificazione di cui al comma 1 mediante la destinazione differenziata del territorio".

 "Tale destinazione differenziata del territorio consiste, per ogni regione, in una quota dal 20 al30% destinata a protezione della fauna selvatica (con eccezione della zona Alpi,10-20%). Una percentuale massima globale del 15% è destinata a caccia riservata a gestione privata; sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale  le regioni  'promuovono  forme di gestione programmata della caccia secondo le modalità previste dall'art.14', vale a dire gli Atc-Ambiti Territoriali di Caccia" spiega la Procacci. "Dunque, tutta l'attività venatoria deve rientrare, seguendo regole chiare e precise e senza eccezioni, nella pianificazione, ovvero nei Pfvr, che sono in primo luogo strumenti di conservazione faunistica. La regione delega le province a predisporli, e ciascuno deve rappresentare una rete coerente e non può costituire semplicemente la sommatoria dei piani provinciali. La regione ha infatti il compito di coordinarli, non di prenderne banalmente atto".



Esistono sentenze della magistratura che sanciscono l'illegittimità dell'attività venatoria in assenza di Pfvr aggiornato, e a maggior ragione, in tale panorama, si confermano illegittime anche le preaperture della caccia. Circa la  possibilità di anticipare al 1 settembre la persecuzione a determinate specie selvatiche, oltre al parere Infs (oggi Ispra) l'art.18 comma 2 della 157/92 prevede: "L'autorizzazione regionale è condizionata alla preventiva predisposizione di  adeguati piani faunistico venatori".

Dice ancora la Procacci: "L'assenza di Pfvr  aggiornato comporta, tra l'altro, la lesione dei diritti dei cittadini. L'art.15 della 157/92, relativo all'utilizzazione dei fondi ai fini della gestione programmata della caccia, al comma 3 afferma: 'Il proprietario o conduttore di un fondo che intenda vietare sullo stesso l'esercizio dell'attività venatoria deve inoltrare, entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico venatorio, al presidente della giunta regionale richiesta motivata, che, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n.241, dalla stessa è esaminata entro sessanta giorni'. Se il Pfvr non c'è, oppure è vecchio di 10-20 anni,  chi ripagherà dell'attesa e del suo diritto il proprietario del fondo?"
"Questa situazione conferma l'insostenibilità della caccia in Italia" commenta Andrea Brutti, responsabile fauna selvatica per l'Enpa "intanto che l'UE ha promosso al riguardo una nuova procedura pilot, anticamera della procedura d'infrazione, indagando su ulteriori e diffuse irregolarità".

La caccia è un'attività che ha radici preistoriche, precedenti alla nascita della specie Homo sapiens. I progenitori della specie umana più remoti erano onnivori, come gli attuali scimpanzé; sono stati ritrovati reperti, risalenti a 1,8 milioni di anni fa, che provano come gli ominidi già in quest'epoca si procacciassero grandi animali per il sostentamento; non è tuttavia completamente chiaro se fossero prevalentemente cacciatori attivi o raccoglitori di carogne o entrambi.

Una delle prime tecniche di caccia utilizzate è stata probabilmente la caccia per sfinimento praticata nel paleolitico. Nel periodo precedente all'invenzione delle armi da lancio, quali lance e archi, uno dei modi per cacciare una preda consisteva nell'inseguirla per lunghe distanze fino a quando la preda, esausta, poteva essere avvicinata e abbattuta. Questa attività potrebbe spiegare il passaggio degli ominidi alla posizione bipede: la postura eretta riduce infatti la velocità di corsa e quindi le probabilità di catturare una preda dopo un inseguimento breve, ma permette una maggiore durata che può favorire la caccia per sfinimento. Anche lo sviluppo delle ghiandole sudoripare e la mancanza di pelo degli umani può aver favorito questo tipo di caccia permettendo di mantenere la temperatura corporea abbastanza bassa durante una lunga corsa nel calore del giorno. Altre tecniche potevano essere l'agguato, e l'azione di gruppo nel circondare le prede.

Con l'avvento delle prime società di cacciatori-raccoglitori, la caccia ha incominciato a ricoprire un ruolo più consistente nel sostentamento quotidiano. Prove fossili dell'utilizzo di lance per la caccia, la cui datazione risale a circa 16 200 anni fa, sono state rinvenute in Asia. Oltre a lance (a volte attrezzate con un propulsore, o atlatl), le prime armi da lancio consistevano in sassi, archi e frecce. Secondo alcuni storici l'avvento della caccia potrebbe aver contribuito al rimpiazzo della megafauna dell'olocene con gli erbivori più piccoli delle epoche successive.



In seguito, nonostante la nascita dell'agricoltura e dell'allevamento, la caccia continuò ad essere un'attività importante per la sopravvivenza delle comunità, in quanto fonte di proteine aggiuntive e materiali utili quali ossa, tendini, pelo o penne e pelli utilizzate per la produzione di abiti e la costruzione di ripari.

Con l'avvento del linguaggio e della cultura la caccia diventò un tema ricorrente di storie e miti, ma anche di proverbi, metafore e aforismi molti dei quali sono diffusi ancora oggi.

Negli antichi altorilievi, in particolare in Mesopotamia, i re venivano spesso rappresentati come cacciatori impegnati con bestie di grandi dimensioni come i leoni, solitamente su un carro da guerra, considerato simbolo virile. L'archetipo è probabilmente il leggendario re biblico Nimrod.

L'importanza psicologica e culturale della caccia nelle società antiche è testimoniata dalle divinità associate, quali il dio cornuto Cernunnos o la dea greca Artemide e l'equivalente romana Diana. In queste società sorsero anche molti tabù relativi alla caccia. L'associazione mitologica di una certa preda con una divinità poteva riflettersi in restrizioni alla caccia come, ad esempio, il divieto di cacciare nelle vicinanze di un tempio; la storia di Artemide e Atteone, narrata da Euripide, può essere interpretata come un monito verso il disprezzo per le prede e il vanto.

Con la diffusione dell'agricoltura e dell'allevamento la caccia divenne un'attività secondaria e accessoria a queste, praticata per difendere gli animali domestici dai predatori della zona o per eliminare gli animali selvatici che concorrevano nell'utilizzo delle risorse naturali o agricole, quali acqua e foraggio. Da attività primaria per la sopravvivenza la caccia divenne un fenomeno sociale, svolta in forma di attività professionale con l'uso di equipaggiamenti e allenamenti specifici oppure come attività ludica, prerogativa delle classi sociali più elevate (nobiltà), come la caccia alla volpe.

Durante l'età del Medioevo la selvaggina rappresentava ancora una fonte importante di cibo e pelliccia, solitamente procacciata da cacciatori professionisti. In gran parte dell'Europa medievale le classi sociali più elevate (aristocrazia e clero) godevano del diritto esclusivo di cacciare (e a volte pescare) in zone esclusive del territorio feudale. La violazione di questo privilegio era considerata un'offesa criminale, come si narra ad esempio nella leggenda di Robin Hood, accusato di aver cacciato il cervo del re.

Con l'evoluzione della caccia in attività delle classi elevate, la sua pratica divenne codificata. La caccia, solitamente a cavallo, di animali pericolosi come leoni o cinghiali selvatici, si sostituì ai tornei medievali, diventando un passatempo onorevole e competitivo per l'aristocrazia e permettendo di provare la propria abilità di guerra in tempo di pace.

In gran parte del mondo moderno la caccia non rappresenta più un'attività indispensabile all'approvvigionamento del cibo, tuttavia in alcune società che vivono ancora in condizioni semi selvatiche e/o in condizioni di estrema povertà e/o in ambienti che non favoriscono l'agricoltura e l'allevamento la caccia ricopre ancora una funzione importante.

Tra gli Inuit la caccia, praticata con armi e trappole, rappresenta una risorsa primaria di cibo oltre che di pellame usato per la realizzazione di tende in grado di resistere alle basse temperature dell'Artico, mentre le pelli impermeabili dei mammiferi marini sono usate per la produzione di canoe, guanti, abiti e calzature.



La caccia per sfinimento viene ancora praticata dai cacciatori-raccoglitori del deserto del Kalahari dell'Africa meridionale. Nell'inseguimento di un'antilope del Kalahari centrale questa, benché riesca a portarsi fuori vista dal cacciatore, viene infine raggiunta prima che riesca a trovare il tempo per riposarsi e, quando troppo esausta per continuare a correre, viene colpita a breve distanza con una lancia. Questo tipo di caccia può durare anche cinque ore per un percorso totale tra i 25 e i 30 km, sotto temperature comprese tra i 40 e i 42 °C.

Nei paesi industrializzati invece la caccia viene praticata principalmente come attività ricreativa oppure finalizzata allo scopo di commerciare il ricavato della cattura o dell'abbattimento degli animali. Solitamente i cacciatori ritengono che passare del tempo all'aria aperta, in ambienti relativamente selvaggi e lontano dai sentieri più frequentati, sia una parte essenziale dell'attività venatoria. Essi ritengono inoltre che la carne degli animali selvatici sia più saporita e abbia un gusto diverso rispetto alla carne degli animali d'allevamento. Il cacciatore moderno può essere anche motivato dalla collezione di trofei di caccia. Normalmente le leggi stabiliscono il compimento della maggiore età per la pratica dell'attività venatoria, anche se in alcuni paesi, come negli Stati Uniti e in Canada, è sufficiente aver raggiunto i 16 anni.

La caccia praticata come attività ricreativa o commerciale è oggi criticata dal movimento per i diritti animali il quale sostiene che tali attività violano il diritto fondamentale alla vita degli animali cacciati e siano fonte di inquinamento e del saturnismo a causa del piombo delle munizioni da caccia rilasciato nell'ambiente.

La caccia oggi può avere anche un ruolo nella gestione della fauna selvatica, ad esempio per mantenere la popolazione di una certa specie all'interno delle capacità di sostentamento dell'ambiente ecologico. In molti paesi occidentali, guardie forestali ed ecologi partecipano alla scrittura delle norme di regolamentazione della caccia in modo che il numero di animali da abbattere e i metodi permessi garantiscano la preservazione della fauna selvatica.

Tra gli animali usati dall'uomo per l'addestramento alla caccia, come falchi o furetti, i cani sono i più importanti e i più diffusi oggi. I moderni cani da caccia sono infatti il risultato di una lunga storia di selezione genetica.

L'utilizzo del cane nella caccia risale alle origini della civiltà umana, la parola stessa caccia deriva dal greco antico kynègia che a sua volta deriva da kynos, cioè cane. In seguito all'addomesticamento il cane si rivelò infatti per l'uomo un aiuto prezioso nella caccia. Nell'impero ottomano 33 o 34 delle 196 compagnie di giannizzeri erano Sekban, cioè custodi dei cani.

L'olfatto sensibile del cane permette ai cacciatori di scovare e catturare prede che, altrimenti, sarebbero molto difficili o pericolose da cacciare. Nel tempo i cani usati nella caccia sono stati classificati in razze diverse con specifiche abilità: segugi (usati per cercare la preda), cani da ferma (per fiutare e mostrare al cacciatore la preda), cani da tana (per cacciare animali nelle tane sotterranee), levrieri (per inseguire e uccidere la preda) e cani da riporto (per riportare piccole prede abbattute dal cacciatore). Attualmente vi sono numerosi tipi di caccia che si avvalgono dell'ausilio del cane, il quale viene comunemente definito nel linguaggio legislativo in materia di caccia, appunto, come ausiliare.

In Italia, la caccia ha un numero di cacciatori in diminuzione, infatti sono passati dai 1.701.853 del 1980 ai 791.848 del 2001, con un calo netto del 53.5%, mentre l’età media di chi pratica la caccia, sta aumentando. Tutto ciò è indice del fatto che ormai questa pratica è diffusa prevalentemente tra gli anziani e che riscuote uno scarso interesse tra i giovani.
L’attività venatoria è regolamentata dalla legge n. 157 del 17 febbraio 1992, anche se le regioni possono approvare delle deroghe a tale normativa.

Nel corso degli anni novanta sono stati proposti tre referendum, nessuno dei quali raggiunse il quorum, per inasprire le norme che regolano la caccia.
I referendum sul divieto di accesso ai cacciatori ai fondi privati furono proposti con l’intento di abrogare l’articolo 842 del codice civile. Secondo tale articolo, i cacciatori possono entrare (armati) nei fondi privati senza il consenso preventivo del proprietario, introducendo una discriminante, da alcuni giuristi valutata come incostituzionale, nei confronti dei cittadini non cacciatori che invece verrebbero puniti ai sensi dell’articolo 614 del codice penale per violazione di domicilio.

Un sondaggio SWG del 2001 ha evidenziato che l’87% degli italiani è contrario alla caccia dei piccoli uccelli, mentre solo l’8% è favorevole (il rimanente 5% del campione intervistato non si è espresso).
Un sondaggio Abacus del 2003 ha evidenziato che il 72% degli italiani è favorevole all’abolizione della caccia, mentre il 22% è contrario alla sua abolizione (il rimanente 6% del campione intervistato non si è espresso).
Un sondaggio Eurisko del 2005 ha evidenziato che il 74.1% degli italiani è contrario alla caccia, il 15.2% è favorevole e il 10.1% indifferente (il rimanente 0.6% del campione intervistato non si è espresso).



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giovedì 24 settembre 2015

Le Odiate Cimici

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La Nezara viridula, comunemente conosciuta come cimice verde, è un insetto fitofago appartenente alla famiglia dei Pentatomidae. Probabilmente originari dell'Etiopia, ormai sono diffusi in tutto il mondo.

Come nella generalità degli Eterotteri, questo insetto possiede ghiandole odorifere che emettono un odore abbastanza fastidioso. I danni, occasionali, sono dovuti alle decolorazioni localizzate di frutta e ortaggi provocate dalle punture e sono per lo più di tipo estetico. Esse posseggono queste ghiandole così che i predatori, sapendo quello a cui vanno incontro, non le infastidiscono. Proprio per questo non ha molti nemici naturali e i pochi che ha, predano le sue uova anziché l'esemplare adulto.

Ha una spiccata polifagia, che si manifesta a spese di specie vegetali appartenenti a oltre 30 famiglie, sia monocotiledoni sia dicotiledoni. Il più importante fattore che limita la diffusione in zone temperate è il freddo dell'inverno. Le femmine sono più portate, probabilmente a sopravvivere in inverno rispetto ai maschi, così sono più grandi individualmente e queste sviluppano un colore rossastro-marroncino. Negli ultimi decenni, la specie ha esteso il suo areale più a Nord, ed è ben rappresentata nel Nord-Ovest italiano in zone di pianura ove la temperatura media di gennaio non supera 1,5 °C.

La Nezara adulta trascorre l'inverno tra le foglie secche, tra le siepi aspettando che il clima primaverile consenta loro di iniziare le attività: si riproducono e depongono le uova, causando danni pungendo le piante ospiti. Le uova si schiudono dopo un tempo tra i 5 e i 21 giorni (dipende dalla temperatura).
Gli adulti, insieme alle forme giovanili della seconda generazione, sono i maggiori responsabili delle infestazioni su pomodoro, la Nezara è infatti conosciuta anche come la cimice del pomodoro. I danni sono causati soprattutto alle coltivazioni intensive, in quanto la monocoltura del pomodoro genera delle ottime condizioni per la prolificazione della cimice.

Il danno si manifesta sulle foglie e sui frutti ed è causato dalle punture di nutrizione di tutte le forme mobili del fitofago. Sulle foglie, a causa delle punture trofiche, si evidenziano delle necrosi localizzate e disseccamenti di diverso grado. Sui frutti di Pomodoro provocano tipiche punteggiature clorotiche, nella bacca in fase di maturazione; queste punteggiature, in seguito, divengono necrosi localizzate molto sfumate. Le cimici, inoltre, trasmettono, con le loro punture e col secreto di particolari ghiandole repugnatorie, uno sgradevole sapore ai frutti che non possono essere commercializzati. Infine, oltre a questi danni diretti, la cimice trasmette alle piante, mediante le ferite lasciate dagli stiletti boccali, alcune malattie secondarie, in modo particolare la Batteriosi. Su altre piante i danni sui frutti sono leggermente diversi, ad esempio:
-sulle Nocciole provocano, insieme ad altri Pentatomidi, il "cimiciato", cioè una alterazione della forma e del sapore della parte edule del frutto che diviene striminzita e sgradevole;
-nelle Leguminose si hanno alterazioni necrotiche al baccello, con alterazione quali-quantitativa dei semi.

Per combattere la Nezara Viridula si agisce principalmente in modo chimico, colpendo le forme giovanili.

In autunno gli insetti più fastidiosi sono le cimici verdi. Ad incrementare il fastidio per questi insetti contribuisce la constatazione della loro inutilità in natura.

L’elemento che maggiormente ci infastidisce è senza dubbio l’odore sgradevole che sprigionano quesi animaletti. Quando vengono schiacciate peraltro lo emanano con una maggiore intensità quindi bisogna eliminarle in modo strategico senza schiacciarle. La prima regola è cercare di evitare che girino per casa. Per fare questo bisogna tenere d’occhio i punti più critici e agire con prodotti che possano infastidirle e quindi allontanarle. I luoghi più a rischio della casa sono la cesta dei panni puliti da stirare o le pareti maggiormente esposte al sole: questi insetti infatti cercano il caldo. Escono fuori soprattutto nelle ore serali, attirate dalla luce in casa. Un primo rimedio potrebbe essere acquistare una casetta per esterni con cinci o codirossi. Questi uccelli infatti le tengono lontane. Alle cimici non piacciono neppure i ragni e le mantidi religiose. In questo modo si proteggono senza fatica giardini e balconi. Per gli ambienti interni della casa invece può aiutare preparare un infuso di acqua e di tabacco, oppure di acqua e sapone, da spruzzare sulle finestre o, ancora meglio, direttamente sulle zanzariere (da tenere sempre rigorosamente chiuse). Il sapone infatti ha un effetto disidratante e uccide questi insetti velocemente oltre a lasciare in casa un fresco profumo di pulito.

L'aglio è uno degli antiparassitari naturali più efficaci per proteggere dagli insetti sia l'orto che le piante in vaso. Il suggerimento in questo caso è di piantare un bulbo d'aglio nei vasi del vostro orto sul balcone, soprattutto per quanto riguarda le piante più attaccate dalle cimici. Nell'orto piantate delle file di bulbi d'aglio tra un'aiuola e l'altra. L'agricoltura biologica suggerisce di utilizzare un decotto all'aglio preparato in casa per prevenire gli attacchi delle cimici. Spruzzatelo di tanto in tanto alla base delle piante nelle ore serali. Scoprite qui come utilizzare l'aglio per difendere orto e giardino dai parassiti. Il decotto d'aglio e il decotto di cipolla sono utili anche per allontanare le cimici dalle piante quando sono già presenti.

La copertura delle piante con tessuto non tessuto rappresenta un rimedio utile per riparare dalle cimici le varietà più soggette agli attacchi di questi insetti. Il tessuto non tessuto si acquista nei negozi di giardinaggio. Lo potrete utilizzare per proteggere le piante in vaso e le coltivazioni del vostro orto creando delle barriere che scoraggino l'arrivo delle cimici.

Il decotto di artemisia (artemisia assenzio) è un rimedio dell'agricoltura naturale ritenuto utile per allontanare vari insetti dall'orto, cimici comprese. Scoprite qui come prepararlo. Altri rimedi utili per allontanare e prevenire la comparsa delle cimici, suggeriti dall'agricoltura biologica, sono il decotto di cipolla, il macerato d'ortica e il decotto di tanaceto.

Per proteggere le coltivazioni del vostro orto a cui tenete di più dall'arrivo delle cimici cercate di evitare il più possibile le monocolture. La parola d'ordine è varietà. Se potete, alternate agli ortaggi del vostro orto delle piante da "sacrificare", che risultano in grado di attirare le cimici. Si tratta, ad esempio, del mais e del basilico.

Il piretro è l'unico insetticida ammesso dall'agricoltura biologica, ma rappresenta comunque un prodotto molto potente, da utilizzare con estrema cautela. Se potete, prima di valutare il ricorso al piretro, provate a mettere in pratica i rimedi naturali e gli stratagemmi indicati in precedenza.






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lunedì 21 settembre 2015

LA MELISSA

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Il nome melissa sembra derivi dal greco la cui radice meli significa miele. Ciò probabilmente deriva dal fatto che il profumo della pianta attira le api, che ne succhiano volentieri il nettare. Fu dapprima introdotta in medicina come rimedio moralmente esilarante e confortatore dei nervi. Galeno e Paracelso la consigliavano nella mania e nei disturbi psichici. Scriveva Serapio che allevia le inquietudini e tristezze del cervello e principalmente quelle prodotte dalla malinconia.

Gli Arabi la tenevano in grande considerazione: il medico Avicenna già nell’XI secolo attribuiva alla specie “la meravigliosa proprietà di rallegrare e confortare il cuore”.  L'Alcolato di Melissa, o “Acqua di Melissa” inventato dai Carmelitani Scalzi francesi nel 1611, era per le sue proprietà antispasmodiche un rimedio popolare a cui facevano ricorso tutte le classi sociali nei momenti critici della loro vita (dal mal di denti, alle sincopi, alle crisi di nervi ecc.).
La Melissa officinalis o melissa è una pianta erbacea spontanea, perenne e rustica, molto ricercata dalle api ed è appunto per questo motivo che prende il nome dal greco mélissa.

Cresce spontaneamente nell'Europa meridionale e nell'Asia occidentale. In Italia la si può trovare lungo le siepi e nelle zone ombrose; viene inoltre coltivata nei giardini. È nota per le sue proprietà medicamentose ed è molto apprezzata anche come erba aromatica.

La melissa può raggiungere dai 40 ai 100 cm di altezza, ha foglie picciuolate di un colore verde intenso in superficie e verde chiaro nella parte inferiore; le foglie sono cosparse di cellule oleifere; il loro aspetto ricorda molto la pianta dell'ortica e il profumo è simile a quello del limone.

I fiori iniziano a sbocciare nel mese di giugno: sono di colore bianco con leggere sfumature rosa pallido; hanno forma di calice campanulato; la corolla anch'essa tubolosa, ha il labbro inferiore diviso in tre lobi con quello centrale più grande rispetto ai due laterali. La varietà "Melissa aurea" ha foglie maculate di giallo.



Nell'uso popolare, la melissa viene apprezzata come erba aromatica: le sue foglie fresche sono usate per insaporire insalate, minestre, carni ecc. I fiori, una volta essiccati, vengono usati in erboristeria; uniti ad altre piante aromatiche servono a preparare decotti o infusi che possono servire come cordiale o tonico. Viene molto usata anche dai frati e dai monaci nella preparazione di ricette medicamentose e aromatiche.

La conservazione della melissa viene fatta tagliando la pianta quando è ancora in fiore: si legano i rami in piccoli fasci e si appendono ad essiccare in un locale fresco e asciutto.

Questo genere di pianta viene coltivata anche industrialmente: infatti, le foglie e i fiori freschi vengono raccolti due volte l'anno e distillati; il prodotto ottenuto è l'essenza di melissa che viene usata oltre che in profumeria anche nella preparazione dei liquori, come ad esempio l'Arquebuse, l'Assenzio e lo Chartreuse.

La melissa si può facilmente coltivare in giardino con un qualsiasi tipo di terreno, i risultati saranno migliori se il terreno sarà fresco e leggero. Una zona parzialmente ombrosa è preferita.

La semina avviene in primavera direttamente all'aperto. Si possono anche moltiplicare per divisione dei cespi interrando le piantine ad una distanza di circa 30 cm in modo che abbiano spazio sufficiente per crescere e infoltirsi; in questo periodo le piantine andranno annaffiate abbondantemente; solo quando le piantine avranno attecchito bene le annaffiature andranno ridotte in modo da non compromettere il contenuto aromatico delle piante.

In fitoterapia, della melissa sono utilizzati soprattutto le foglie ma anche i fiori e gli steli.

Alcune delle più note applicazioni della melissa per il benessere dell’uomo sono legate alle sue proprietà sedative. Queste possono essere sfruttate per allentare la tensione e ridurre nervosismo e stress, compreso quello accumulato durante le ore di lavoro o in caso di stili di vita troppo frenetici.
La sua azione sedativa si rivela inoltre efficace per combattere in modo naturale l’insonnia, se necessario consumata sotto forma di infuso in abbinamento a camomilla e radici di valeriana. Svolge inoltre una moderata azione antidepressiva e contro il mal di testa.
Tra le sue proprietà anche quelle antispasmodiche, utili per favorire una migliore digestione, per calmare i crampi all’addome e nel ridurre i sintomi della sindrome del colon irritabile. Sempre per quanto riguarda il tratto intestinale, questa pianta aiuta a risolvere problemi di flatulenza e coliche sfruttandone le proprietà carminative.
La sua azione calmante si applica poi anche per il mantenimento della salute del cuore, al quale contribuisce a ridonare il giusto ritmo. Per uso esterno possiede infine alcune proprietà antireumatiche. Favorisce anche una riduzione dell’attività tiroidea in caso di ipertiroidismo.

L’utilizzo della melissa presenta tuttavia alcune controindicazioni specifiche, alcune delle quali legate all’attività della tiroide. Se da un lato può aiutare i soggetti affetti da ipertiroidismo a ridurre l’attività di tale ghiandola, in chi è soggetto a ipotiroidismo può arrecare danni anche elevata entità.

Sempre per il suo delicato rapporto con la tiroide se ne sconsiglia l’impiego durante la gravidanza e l’allattamento. Da evitare l’utilizzo di melissa anche da parte di chi soffre di glaucoma, per via del possibile aumento alla pressione oculare. Attenzione infine a eventuali risposte allergiche, che possono manifestarsi anche sotto forma di eruzioni cutanee.
Si consiglia, soprattutto in caso di dubbio, una consulto preventivo con il proprio medico per verificare eventuali possibili effetti collaterali.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/09/loltrepo-pavese.html






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giovedì 17 settembre 2015

LE DROGHE PESANTI



L'oppio è estratto dal succo della capsula acerba del papavero, scientificamente conosciuto come Papaver somniferum. Può essere coltivato quasi in tutto il mondo e in molti paesi lo è per i semi o i bei fiori, invece che per il suo contenuto di oppio. I semi vengono spremuti per ricavarne l'olio, che si può usare per dolciumi e torte. Il papavero è una pianta annuale, probabilmente originaria della regione mediterranea e del Medio Oriente. Dal punto di vista medico l'oppio è stato molto importante per il suo effetto narcotico e anestetizzante. Oggi viene però utilizzato quasi esclusivamente come materia prima per la produzione di altre sostanze: morfina, codeina, eroina , metadone…

L'eroina, appunto, è un derivato semisintetico dell'oppio; è stata prodotta per la prima volta dall'industria farmaceutica Bayer nel 1898 come farmaco per curare la tossicomania da morfina (deve, infatti il suo nome all'"eroico" potere terapeutico che le veniva attribuito). È una polvere cristallina (cioè chimicamente strutturata in cristalli) con colore variabile dal bianco al bruno, solubile in acqua calda. L'eroina può essere inalata (sniffata), fumata o iniettata in vena (buco). L'effetto compare in pochi minuti (flash) e persiste per circa 2 ore. L'eroina, così come tutti gli oppiacei agisce sul cervello e anche su altri apparati. Agendo sul cervello produce una sensazione di piacere al momento dell'assunzione, un senso di tranquillità, diminuita apprensione, un rallentamento del pensiero e del linguaggio, sonnolenza e movimenti rallentati, una ridotta percezione della realtà nei confronti della quale prevale un senso di piacevole distacco, una sensazione di forte egocentrismo. Agendo su una zona specifica del cervello ci può essere anche nausea e vomito. Per quanto riguarda gli altri apparati l'assunzione di eroina determina: modificazioni respiratorie (rallenta il ritmo e diminuisce la capacità respiratoria), soppressione del dolore, rilassamento della muscolatura dello stomaco e dell'intestino, aumento della contrattura muscolare della vescica e dell'uretra con difficoltà a urinare, diminuzione dell'ovulazione e amenorrea (scomparsa del ciclo mestruale).

Una delle caratteristiche principali delle cosiddette droghe pesanti è la loro capacità di dare tolleranza che significa che dopo poche assunzioni è necessario progressivamente aumentare la quantità di sostanza per ottenere lo stesso effetto. Questo porta, in un tempo relativamente breve, alla dipendenza da quella sostanza, il che significa che non è possibile farne a meno, che si è perso il controllo della capacità di gestire le assunzioni perché se l'assunzione viene a mancare si manifesta in breve il "calo" o sindrome di astinenza con le manifestazioni tipiche rappresentate da: freddo, caldo, brividi, nausea e vomito, dolori crampiformi diffusi, diarrea, starnuti, agitazione. E' importante ricordare che di sindrome astinenziale non si muore, ma è una situazione di estremo disagio in cui è necessario ricorrere o ad un ulteriore dose di sostanza o a qualcosa che la sostituisca (come per es. il metadone). Si muore, al contrario di overdose, data da un dosaggio troppo elevato di eroina e che è appunto una delle principali cause di morti in questo campo.

Sappiamo tutti che l'eroina pura non è presente sul mercato ma viene venduta "tagliata" con altre sostanze come zuccheri, bicarbonato di sodio, talco, mannite ecc., che possono essere presenti in quantità variabili e che possono essere causa di lesioni alle vene interessate e ai polmoni. L'eroina cosiddetta " da strada" contiene non più del 3-5% di eroina pura. L'adulterazione dell'eroina è, per i trafficanti, il modo più facile per aumentare i profitti.
L'impiego di siringhe ed altri materiali non sterili nell'assunzione per via endovenosa, può portare al rischio di contrarre l'AIDS, epatite e altre malattie virali.

Un tossicodipendente da eroina perde ogni tipo di valore etico, morale e di rispetto sia nei propri confronti e sia nei confronti delle persone che lo circondano; siano questi i genitori, la moglie, il marito e/o i figli. Il bisogno di soldi per poter soddisfare la quantità necessaria di droga giornaliera, portano la persona a pensare solo a racimolare i soldi che le permetteranno di avere la sua dose.




La parola "coca" deriva dal linguaggio degli Indios Aymara e significa pianta o albero. L'uso delle foglie di coca nelle Ande centrali risale a tempi molto antichi. Presso gli Incas veniva considerata sacra. L'analisi chimica delle foglie di coca ha dimostrato che queste sono particolarmente ricche di vitamine da poter essere impiegate in vari usi. 60 g di foglie di coca masticate ogni giorno sono sufficienti per dare, ad una persona adulta, le vitamine di cui ha bisogno. Le foglie di coca vengono, inoltre utilizzate dalle popolazioni del Sud America per la preparazione di un tè, chiamato mate, oppure come medicinali, per combattere ad esempio gli effetti che derivano dall'altitudine.

La cocaina è una polvere bianca che viene prodotta chimicamente utilizzando le foglie di coca lavorata con altre sostanze chimiche. La cocaina è una sostanza stimolante del sistema nervoso centrale. In passato veniva utilizzata in campo medico soprattutto per le sue proprietà di anestetico locale e di stimolante.

La cocaina può essere assunta per via inalatoria (sniffo) o per via endovenosa, talvolta mescolata con l'eroina.. Per via inalatoria l'effetto dura meno di un ora. Per via indovenosa l'effetto è più intenso, ma più breve, cioè dura meno di mezz'ora.
L'assunzione di cocaina provoca eccitazione, loquacità, disinibizione, potenziamento dell'attività mentale e incremento del lavoro muscolare con diminuzione del senso di fatica. Si manifesta inoltre una sensazione di vitalità, una particolare lucidità di coscienza, sicurezza e fiducia in se stessi. Il linguaggio diviene spedito e giocoso e anche la velocità del pensiero aumenta. Sono presenti inappetenza, aumento del desiderio sessuale, insonnia. L'uso prolungato, attraverso un particolare meccanismo cerebrale, fa insorgere una precoce tolleranza agli effetti più piacevoli che si manifestano per durata e quantità sempre minori, mentre fanno la loro comparsa sempre più precocemente gli effetti più spiacevoli legati a questa sostanza quali l'irritabilità, l'ansia, la suscettibilità e addirittura la sospettosità, fino a vere e proprie allucinazioni visive o uditive o tattili.

L'interruzione dopo un periodo di uso prolungato porta ad una situazione di malessere e di disagio che anche se non ha le stimmate di una vera e propria sindrome astinenziale le assomiglia molto, soprattutto per un malessere psicologico costituito da depressione, incapacità a provare piacere per altre cose, tristezza, malinconia e desiderio impellente di riprovare le sensazioni date dalla sostanza stessa. L'assunzione cronica può inoltre essere causa di tremori cefalea, dimagrimento, perforazione del setto nasale, impotenza, crisi epilettiche.

E' importante ricordare che anche nelle assunzioni singole si corrono dei rischi importanti quali: tachicardia (battito cardiaco molto accelerato) con extrasistoli e aritmie di vario tipo fino all'infarto cardiaco dovuto al fatto che al cuore arriva minor quantità di sangue e quindi di ossigeno; ictus e emorragia cerebrali per lo stesso motivo; epatite acuta su base tossica a causa di alcuni residui tossici che si formano nell'organismo.

La cocaina può creare una forte dipendenza. A conferma di quanto appena detto non ci sono solo i dati dell'esperienza diretta con persone che sono diventate dipendenti dalla cocaina, ma anche le recenti scoperte effettuate sui meccanismi cerebrali dove, in particolare, sono implicati i neurotrasmettitori legati al sistema dopaminergico.

Rispetto all'eroina la dipendenza fisica da cocaina si manifesta con sintomi meno intensi e, da questo punto di vista, la carenza è più facilmente gestibile, ma non è così per la dipendenza psicologica.

Le persone che hanno utilizzato cocaina quando interrompono l'uso della sostanza possono andare incontro ad una sindrome astinenziale caratterizzata da:

intenso craving (desiderio compulsivo di assumere droga), depressione del tono dell'umore fino a pensieri suicidi, irritabilità, astenia, rallentamento psicomotorio, nausea, tremori, appetito vorace e disturbi del sonno. I sintomi raggiungono l'apice 48-72 ore dopo l'ultima assunzione e possono durare per parecchie settimane.

Per quanto riguarda il trattamento dell'astinenza il paziente va tenuto sotto stretta osservazione per la depressione del tono dell'umore e le conseguenti idee di suicidio. Va rassicurato che la depressione è un effetto, limitato nel tempo, dell'astinenza da stimolanti.



Speedball (da non confondere con lo speed, il nome in gergo dell'anfetamina), noto anche come Powerball è un termine inglese utilizzato per indicare una combinazione di eroina o morfina con cocaina o crack.

Il termine può essere applicato all'uso simultaneo di qualsiasi oppiaceo in combinazione con un eccitante (cocaina, anfetamina, metanfetamina o, più raramente, ecstasy). Lo speedball può essere assunto sia tramite iniezione che tramite inalazione e causa una forte dipendenza fisica causando anche sindromi da astinenza. Una particolare variante, che rende il mix ancora più potente e pericoloso, prevede l'aggiunta di LSD al mix di eroina e cocaina; questa rara variante prende il nome di Frisco Speedball.

La co-somministrazione di cocaina e eroina ha lo scopo di fornire un intenso impeto di euforia, che dovrebbe combinare gli effetti di entrambi gli stupefacenti, e far ridurre gli effetti dell'ansia. Si tratta di un mix potenzialmente letale per i suoi effetti anche su cervello e metabolismo del fegato: la cocaina agisce da stimolante sul sistema nervoso simpatico, aumentando il battito cardiaco, ma il suo effetto svanisce più rapidamente di quello dell'eroina, notoriamente un depressivo, che a sua volta rallenta il battito cardiaco agendo sul sistema nervoso parasimpatico. Questa eccessiva e irregolare stimolazione del cuore può provocare aritmia cardiaca, una pericolosa alterazione del ritmo cardiaco normale. Il risultato è una possibile overdose ritardata che potrebbe causare una grave depressione respiratoria, quando l'effetto dello stimolante plana e l'eroina ne prende il posto, questo è noto come il più comune meccanismo di morte da speedball. Altri effetti collaterali causati da un'overdose di questa mistura possono includere sincope, crisi epilettiche e infarto.

In generale, l'uso congiunto con la cocaina viene fatto per evitare l'effetto sedativo dell'eroina. Mescolare un depressivo con un eccitante, causa uno stato di smarrimento generale, incoerenza, visione offuscata, stupore, sonnolenza e confusione generale. Questo legame comporta abilità motorie incontrollate e non coordinate, con il rischio di eccitazione eccessiva di morte. Ci possono essere deliri paranoici, così come depressione intensa, allucinazioni visive e sensoriali.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/09/tossicodipendenza-e-costi-sociali.html






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mercoledì 16 settembre 2015

LE Droghe Sintetiche



Secondo i dati del Cnr la discoteca resterebbe il luogo di elezione, per i ragazzi,  per procurarsi e assumere sostanze psicoattive illegali.

Sono principalmente di due tipi: eccitanti o stimolanti e allucinogene. Alla prima categoria appartengono le anfetamine e la cocaina. Nella seconda categoria rientrano la marijuana, l'hashish, l'lsd e l'ecstasy.  La più utilizzata per lo sballo in discoteca  è l'ecstasy, una droga sintetica che dà effetti eccitanti e allucinogeni. I giovani che l' assumono – avvertono dall'Istituto Neurologico Mediterraneo  - possono morire per una sindrome gravissima, chiamata 'serotoninergica', che può comparire da 15 minuti a 6 ore dopo l'assunzione. Causa ipertermia, collasso cardiocircolatorio, insufficienza renale, necrosi epatica e morte, che può avvenire anche nel giro di un'ora. La tossicità della droga è amplificata da sovraffollamento, elevata temperatura ambientale, musica ad alto volume, ballo e disidratazione.

A fare concorrenza all'ecstasy è il boom delle nuove droghe sintetiche, acquistate online o prodotte in casa. Le reali conseguenze ancora non si conoscono fino in fondo ma, quando non si muore, le subisce il cervello. Le oltre 500 molecole di droghe sintetiche scoperte fino a oggi sfuggono, nella quasi totalità, sia al contrasto delle forze dell'ordine che ai test medici.  "Ci sono sostanze come i catinoni che danno gli stessi effetti della cocaina ma non vengono cercati nei test - sottolinea Carlo Locatelli, direttore del Centro nazionale di informazione tossicologica (Cnit) della fondazione Salvatore Maugeri  - lo stesso vale per chetamine e cannabinoidi sintetici che, in molti casi, non sono illegali".

Una ricerca dell' Istituto tecnico 'Luca Pacioli'  di Crema (Cremona) ha individuato alcune delle droghe, anche molto recenti, più utilizzate in discoteca dai ragazzi.



Cobret: E' polvere di eroina scaldata e sniffata. In Italia cominciò a diffondersi nel  1997 fra i ragazzi che consumavano ecstasy.

Yaba: E' una polvere che arriva dal sud-est asiatico e comincia ad estendersi nelle discoteche europee. Fu sviluppata nei laboratori nazisti, per ordine di Hitler, per tenere sveglie per giorni interi le truppe. Può causare infarto acuto.

Shabu: conosciuti anche come 'diamantini colorati' . Si tratta di anfetamine fumate per provocare un'eccitazione di maggior durata rispetto all'ecstasy. Oltre a disturbi di ordine psichiatrico, può causare infarto.

Popper: Il nome scientifico è 'nitrito d'anile'. In realtà è in circolazione da almeno 20 anni. E' venduto in forma di fialette, mandasu di giri in pochi istanti e può causare  ipertensione e ictus celebrale.

Ketamina: E' un liquido che veniva usato dai veterinari come anestetico. Si è diffuso nei rave dove viene sniffato. Provoca allucinazioni intense, con difficoltà a camminare e cecità temporanea.

Speed: E' una miscela di anfetamina e cocaina. Provoca un'intensa eccitazione che dura ore. I disturbi che provoca passano dall'aritmia cardiaca agli attacchi epilettici, fino a stati paranoici acuti.

Superpill: Uno degli ultimi arrivi nel supermercato delle droghe sintetiche. E' un miscuglio di ecstasy e Viagra, quasi sempre potenziato dall'assunzione di alcol. L'ecstasy spazza via qualsiasi tipo di inibizione, dando la sensazione di maggiore audacia nelle avances sessuali, aiutato in questo da Viagra. Effetti: scompensi cardiaci, pressione e febbre alle stelle.

Ecstasy è il nome usato comunemente per indicare l’Mdma, una droga sintetica. Le droghe sintetiche sono sostanze psicoattive prodotte in laboratorio. Come sottolinea l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, un’agenzia dell’Unione europea, l’Europa è storicamente un mercato di produzione e consumo di droghe sintetiche. In particolare sono tre le droghe sintetiche che dominano il mercato europeo: le anfetamine, le sostanze stupefacenti simili all’ecstasy, soprattutto Mdma, e le metanfetamine.

Le anfetamine si presentano sotto forma di polvere biancastra, ma anche in fiale, pasticche e capsule, pertanto possono essere assunte per via orale o inalate, meno per via endovenosa. Agiscono come stimolanti del sistema nervoso centrale.

L’Osservatorio europeo delle droghe e tossicodipendenze parla di effetti collaterali come ipertensione e tachicardia. Chi assume questo tipo di droghe sintetiche può sentirsi più sicuro di sé e pieno di energie. Le anfetamine sopprimono l’appetito e la fatica e inducono insonnia. A distanza di ore dall’assunzione si può diventare più irritabili, ansiosi e irrequieti. Un’intossicazione acuta provoca anche disturbi al sistema cardiovascolare, mentre un uso prolungato porta a variazioni neurochimiche e dell’anatomia cerebrale.



Gli effetti dell’assunzione di metanfetamine, un’altra categoria di droghe sintetiche, sono simili a quelli delle anfetamine. Tuttavia, sottolinea l’agenzia dell’Ue, le metanfetamine sono più potenti di quest’ultime.

Con l’ecstasy viene incrementata l’attività di alcuni neurotrasmettitori tra cui la serotonina, il cosiddetto “ormone del buonumore”. Ecco perché chi assume questa droga sintetica prova maggiore empatia, ha meno difficoltà a relazionarsi e a entrare in confidenza con gli altri.

Tuttavia l’incremento nella produzione di serotonina causa anche effetti negativi, dalla confusione ai disturbi del sonno all’ansia. Tra gli altri effetti del consumo di ecstasy c’è l’amplificazione delle capacità sensoriali, dal tatto al gusto all’olfatto; si sentono meno la stanchezza, la fame, la sete e il sonno, ma si può provare anche tachicardia e ipertensione. Altre conseguenze sono nausea, vomito, bruxismo e crampi muscolari, aumento della temperatura corporea e sudorazione eccessiva. Il consumo di ecstasy – sottolinea il ministero della Salute – può favorire l’infarto nelle persone che soffrono di malattie cardiovascolari ed è particolarmente pericoloso per le persone con problemi a reni o fegato.

Secondo l’ultima Relazione annuale del Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in Italia tra il 2011 e il 2014, nella popolazione scolastica 15-19 anni, c’è stato un lieve aumento dei consumatori di ecstasy o anfetamine. Il 2,2% di questa popolazione riferisce di aver provato queste droghe sintetiche almeno una volta nella vita.

La droga su Internet è un gioco goliardico, ammicca sullo scaffale virtuale come un fumetto o un nuovo videogame. Può chiamarsi «Blue Stuff» e citare nell’immagine stampata sulla confezione la serie tv «Breaking Bad», dove un mite professore di chimica in crisi inizia a produrre «Blue Sky», la droga blu che lo trasformerà in un boss sanguinario. Circola su siti che che dichiarano di offrire «molecole per la ricerca chimica» e poi spediscono a casa da Regno Unito e Germania bustine da un grammo di cristalli a venti euro, oppure pellets, «gogaine», cannabinoidi sintetici, etilfenidato e fenetilamnine.
Tra il 2010 e il 2014 in Italia sono comparse 450 nuove molecole d’abuso disponibili sul mercato. E gli Stati arrancano, costretti ad aggiornare senza sosta le tabelle delle sostanze proibite per provare a tenere il passo delle nuove molecole chimiche sintetizzare a getto continuo in laboratori spesso basati in Cina.
Un fenomeno di nicchia, qualcuno si ostina ad affermare. Riservato ai giovanissimi e confinato in ristrette cerchie di «psiconauti» che sperimentano nei rave o a domicilio e poi condividono esperienze nei forum. «Anche la cocaina è stata un fenomeno di nicchia per decenni in Italia», dice il dottor Paolo Tagliaro dell’Università di Verona che per il Dipartimento Politiche Antidroga ha condotto una ricerca sulle nuove droghe. «Metà della casistica da noi riscontrata riguarda persone sopra i 35 anni», ricorda invece il dottor Carlo Locatelli del Centro Antiveleni di Pavia. Mentre l’Italia non ha ancora deciso se rilanciare o conservare il Dipartimento Politiche Antidroga teenager, studenti e professionisti in cerca di evasione a basso rischio (sul fronte legale) scoprono sempre più numerosi il fascino del «buy-chemicals» on line. Un mercato diventato fonte di concorrenza per le organizzazioni criminali, in grado di sfuggire al loro controllo.
Ci sono molecole la cui circolazione è già segnalata in Europa ma ancora mai sequestrate in Italia: è il caso della MT-45, oppioide sintetico dagli effetti assimilabili a quelli dell’eroina. Ha già fatto diversi morti in Nord Europa e si compra da casa, per esempio su un sito canadese. Altra novità che sta trovando larga diffusione in Italia sono le 25-NBOME, una famiglia di fenetilammine allucinogene vendute sotto forma di francobollini, come l’LSD. O la 1P-LSD, altra sostanza allucinogena nuovissima, immessa recentemente sul mercato e già andata a ruba. Anche la AL-LAD, droga psichedelica sempre della famiglia LSD, riscuote ottime recensioni nei forum in cui gli psiconauti si scambiano consigli su dosaggi e somministrazioni.



LEGGI ANCHE : http://pulitiss.blogspot.it/2015/09/le-droghe-leggere.html



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LA LAVANDA

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La lavanda è una pianta particolarmente apprezzata per il profumo dei suoi fiori, che vengono utilizzati a scopo decorativo, a livello erboristico e per alcune ricette di cucina. E' tipica del'area mediterranea e ama gli ambienti soleggiati e il clima piuttosto secco. La lavanda potrà sopportare condizioni climatiche diverse, ma preferisce la stagione calda.

La fioritura delle piante di lavanda avviene tra giugno e luglio. 

La Lavandula angustifolia della varietà Nana Alba è considerata particolarmente adatta per la coltivazione in vaso.

I responsabili del caratteristico profumo della lavanda sono gli oli essenziali di lavanda prodotti da ghiandole, localizzate in tutte le parti verdi della pianta (fiori, foglie e gambi) ma particolarmente concentrati nei fiori.

Questi componenti sono presenti in maniera variabile nelle diverse specie di Lavandula ma quello più profumato si ottiene dalle specie Lavandula angustifolia e Lavandula stoechas.

I fiori di lavanda si raccolgono in epoche diverse a seconda del loro utilizzo: per uso erboristico si raccolgono all'inizio della fioritura mentre per l'industria cosmetica e per la profumeria nel periodo di massima fioritura.

Dopo la raccolta che deve essere fatta raccogliendo l'infiorescenza con tutto il fusto, si fanno seccare in mazzi appesi a testa in giù, in luoghi ventilati ed ombrosi in quanto il sole scolorirebbe i fiori. Quando sono secchi si separa la spiga dal gambo e si conservano i fiori o in sacchetti di tela o in ciotole per profumare la casa.

I fiori della lavanda mantengono a lungo il loro profumo tanto che vengono normalmente conservati in sacchetti di mussola o tela per profumare la biancheria.

I fiori freschi vengono invece utilizzati per estrarre gli oli essenziali.

Normalmente la lavanda è poco usata per scopi alimentari. Viene però usata per aromatizzare il vino bianco e l'aceto, per preparare gelatine, per aromatizzare i dolci.

Molto particolare e profumato è il miele di lavanda molto adatto per curare le affezioni broncopolmonari.

La lavanda è stata ed è l'elemento base per la preparazione dei pot-pourri per profumare la casa fin dal lontano 1700.
Nell'antichità la lavanda era usata non solo per il suo profumo e per l'igiene personale ma anche come disinfettante: nel Medioevo e fino al 1700 si cospargevano e si strofinavano i pavimenti utilizzando la lavanda come disinfettante.

La spiga è considerata un amuleto contro le disgrazie ed i demoni e si dice che sia anche un talismano per portare prosperità e fecondità. La lavanda è l'essenza astrale del segno zodiacale dell'Ariete.

Nel linguaggio dei fiori la Lavanda può avere due significati distinti e contradditori tra loro.

Il primo significato si rifà ad un'antica tradizione che racconta che la lavanda venisse usata nell'antichità contro i morsi dei serpenti e raccomandavano di strofinarla sulle ferite dopo averla lasciata macerare in acqua. Era quindi considerata un antidoto ma si diceva anche che all'interno dei suoi cespugli i serpenti vi facessero il nido, soprattutto gli aspidi, quindi i popoli antichi si avvicinavano ad essi con grande cautela. Da questa credenza è derivato il suo significato nel linguaggio dei fiori vale a dire "diffidenza".

Il secondo significato della Lavanda è legato invece a sentimenti più miti e regalare della lavanda vorrebbe dire "il tuo ricordo è la mia unica felicità".

Il genere lavanda appartiene alla famiglia delle Labiateae e comprende una trentina di specie originarie dei Paesi del Mediterraneo. 

La lavanda è una pianta molto rustica  e la ritroviamo nei terreni aridi e sassosi a formare dei bellissimi cespugli. Sono piante perenni, sempreverdi di piccole dimensioni raggiungendo infatti al massimo un'altezza di un metro.

Le foglie sono lineri, lanceolate, strette, di un caratteristico colore verde-grigio. Le infiorescenze, portate da lunghi steli, sono delle spighe. Ciascuna spiga contiene un numero variabile di fiori molto profumati e con aroma variabiale a seconda della specie. Il frutto è un achenio che contiene al suo interno un solo seme.

Gli oli essenziali sono presenti in maniera variabile nelle diverse specie di Lavandula e conferiscono quindi aromi differenti. L'olio essenziale più profumato è quello che si ottiene dalle specie Lavanda angustifolia, Lavandula Stoechas e Lavandula officinalis.



La lavanda è conosciuta fin dalle epoche passate. Pare che il suo nome derivi dal suo utilizzo per detergere il corpo, che la vedeva in particolare impiegata per profumare l'acqua in cui gli antichi romani si immergevano per il bagno. I documenti dell'epoca testimoniano come la lavanda venisse impiegata per la realizzazione di un medicinale adatto a combattere nausea, singhiozzo e dolori intestinali.

L'olio essenziale di lavanda è da secoli altrettanto noto per le sue proprietà curative in caso di scottature ed infiammazioni della pelle. Poche gocce, ancora meglio se diluite in un olio vegetale di base, come del semplice olio extravergine d'oliva, possono essere impiegate per strofinarle sulla pelle in caso di prurito causato dalle punture di zanzara al fine di ottenere un immediato beneficio.

Esso è inoltre considerato come l'olio essenziale rilassante per eccellenza. Ecco perché viene ampiamente utilizzato per effettuare massaggi al fine di decontrarre i muscoli e come aggiunta ai sali da bagno da utilizzare per un pediluvio serale, affinché la sensazione di stanchezza e pesantezza avvertita agli arti inferiori possa essere alleviata il prima possibile. L'olio essenziale di lavanda è portentoso in caso di mal di testa provocato da stress e tensione. E' sufficiente strofinarne una o due gocce sulle tempie per ottenere i primi benefici.

L'olio essenziale di lavanda può essere inoltre utile per la cura del raffreddore. Esso può essere aggiunto al bicarbonato versato in acqua bollente per i classici suffumigi al fine di potenziare gli effetti di questo trattamento, che costituisce uno dei più utili rimedi della nonna contro le malattie da raffreddamento. Un altro olio essenziale particolarmente indicato in proposito viene estratto dall'eucalipto.

In aromaterapia la lavanda viene utilizzata per profumare e rinfrescare gli ambienti della casa, ma anche in caso di insonnia. E' possibile vaporizzare dell'acqua floreale alla lavanda nella propria stanza o sul cuscino, prima di andare a dormire. Può essere altrettanto utile spruzzarne un pochino su di un fazzoletto di stoffa da tenere vicino al cuscino o sul comodino durante le ore notturne.

L'acqua floreale di lavanda e l'olio essenziale di lavanda vengono spesso consigliati in caso di dolori reumatici. Essi devono essere utilizzati per effettuare delicati massaggi sulle aree maggiormente interessate dal fenomeno. L'efficacia degli estratti di lavanda sui dolori reumatici è legata alle sue proprietà antireumatiche e antinfiammatorie.

Per quanto riguarda i fiori di lavanda, essi possono essere raccolti e lasciati essiccare dopo averli riuniti in mazzetti. Saranno utilissimi per comporre dei sacchetti fai-da-te per profumare armadi e cassetti. Gli stessi rametti di lavanda essiccati possono essere impiegati per comporre dei piccoli fasci da abbellire con nastri colorati e da utilizzare per profumare la biancheria o semplicemente per decorare la casa.

I fiori di lavanda essiccati possono inoltre diventare uno degli ingredienti aggiuntivi per la preparazione di saponette naturali o di candele vegetali fatte in casa. Una volta raccolti ed essiccati, affinché mantengano il proprio aroma, i fiori di lavanda possono essere conservati in scatole di latta o di cartone ben chiuse e collocate preferibilmente all'ombra e lontano da fonti di calore.

I fiori essiccati possono essere utilizzati per la preparazione di oleoliti, lasciandoli macerare per alcune settimane in un olio vegetale di base. Dagli stessi fiori essiccati e possibile ottenere infusi e decotti curativi, che vengono impiegati per uso esterno per il lavaggio di ulcere e ferite, per i pediluvi o per la cura della leucorrea.

L'infuso di lavanda può essere inoltre assunto come bevanda dalle proprietà calmanti e rilassanti. In questo caso i fiori secchi di lavanda possono essere abbinati a melissa, tiglio e camomilla, per ottenere un infuso dal sapore gradevole. L'infuso preparato con sola lavanda presenta spiccate proprietà diuretiche. Per ottenere gli effetti desiderati, è necessario conteggiare un cucchiaino di fiori secchi di lavanda ogni tazza da 250 ml di acqua bollente, da consumare tre volte al giorno.









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