mercoledì 16 settembre 2015

LE DROGHE LEGGERE



Dipendenza e droga sono due concetti che vengono spesso demonizzati psicologicamente dall'opinione pubblica, suscitano moti d'animo e opinioni in genere preconcette senza che si possieda una reale conoscenza dei fenomeni, delle dinamiche e delle sostanze coinvolte. Sono concetti in grado di spostare milioni di voti e miliardi di dollari.
Il consumo di droghe è ancora molto diffuso in tutto il mondo, sono infatti circa 230 milioni le persone adulte che hanno fatto uso di droga almeno una volta. La cannabis è la droga più diffusa al mondo e il suo consumo è in netta crescita soprattutto nei paesi in via di sviluppo. L’8 % della popolazione adulta fa uso regolare di erba anche nei paesi sviluppati come l’Italia, la Francia, la Spagna, gli Usa e il Canada, senza che si generi un effettivo allarme legato agli effetti fisici e psichici che derivano dall’uso di questa sostanza, ritenuta meno tossica rispetto a quelle droghe che hanno invece effetti devastanti ed immediati sull’organismo, anche se assunte in quantità inferiori.

La dipendenza fisiologica comporta la necessità di assumere stupefacenti nel momento in cui la loro presenza nell’organismo viene meno. L’individuo è spinto così a ricercare nuovamente la sostanza, con un grado di intensità che varia a seconda della quantità e della frequenza con cui è abituato ad assumere droga. Da questo tipo di dipendenza si può uscire, ma il rischio vero risiede nella dipendenza psicologica che spesso si associa a quella fisica. In questo caso, molto spesso, l’individuo non è più in grado di liberarsi di questa schiavitù, poiché la droga compromette le funzioni cerebrali. Naturalmente, maggiori sono le quantità assunte e più alta è la frequenza con cui la si consuma e più è probabile che si sviluppi la tossicodipendenza”.

Il tema delle droghe è dunque un problema di carattere culturale, anche se l’approccio legislativo in molti casi tende al proibizionismo nei confronti degli usi ‘ricreativi’ delle droghe. Un’apertura maggiore si  registra oggi, invece, a livello internazionale verso l’uso terapeutico di alcune sostanze stupefacenti per contrastare il dolore in particolare nel paziente oncologico.

“Tuttavia, la strada da fare è ancora lunga – conclude il dottor Lagioia – va fatta ancora molta chiarezza sulle droghe ed i loro effetti, senza dimenticare che, anche prodotti come l’alcool o il tabacco, sebbene non considerati al pari delle droghe, possono avere effetti altrettanto devastanti. Lo vediamo, per esempio, proprio con i ragazzi, che in età sempre più giovane iniziano a consumare alcool e sostanze stupefacenti, assumendone spesso col passare del tempo quantità sempre più elevate. Lo stesso vale per il fumo, nonostante i costi aumentati e le compagne di prevenzione e informazione, tante persone continuano a fumare e comportamenti quali, consumare due/tre pacchetti di sigarette al giorno possono essere nocivi, per motivi diversi, tanto quanto la marijuana. Ciò che voglio dire è che occorre un radicale cambiamento culturale che porti la comunità a comprendere che non solo le droghe, ma anche sostanze come il tabacco e l’alcool danno dipendenza e sono tossiche, soprattutto se consumate senza alcuna moderazione.”

La definizione di droga ‘leggera’ nasce negli anni’30 quando la cannabis inizia a diffondersi e ad essere riconosciuta dalla popolazione come sostanza di fatto non così pericolosa per la vita, come era sempre stata descritta fino ad allora. Da questo momento, la canapa indiana è considerata una sostanza innocua per mezzo della quale non si può morire, sebbene abbia la caratteristica subdola di portare, col passare del tempo, chi ne fa uso a ricorrere a sostanze ben più pericolose, in molti casi addirittura letali, quali l’eroina e la cocaina, considerate dunque droghe ‘pesanti’. Da qui nasce la ‘teoria del passaggio’, che tuttavia non ha ancora trovato piena dimostrazione scientifica essendo basata su argomentazioni di psicodinamica.

L’uso di marijuana, così come di altre sostanze stupefacenti, può determinare danni al sistema nervoso centrale, produrre sindromi amotivazionali e in alcuni casi sindromi respiratorie e cardiache. Può inoltre aumentare il rischio di contrarre malattie infettive, perché indebolisce il sistema immunitario. Questi pericoli possono aumentare a causa dell’interazione data dall’assunzione di droghe in concomitanza a farmaci e/o alcool.

L'espressione "droghe pesanti e droghe leggere" è da ritenersi dunque un termine principalmente colloquiale per indicare, rispettivamente, sostanze psicoattive particolarmente dannose e sostanze che sono ritenute non induttrici di dipendenza (o induttrici di dipendenza ridotta) e meno dannose di quelle pesanti. L'espressione "droghe leggere" è considerata controversa dai critici della medesima perché implica che la sostanza causi danni nulli o insignificanti.

Va quindi notato come in quest'ottica non esista un reale, marcato confine, così come le più diffuse sostanze psicotrope non hanno spesso la benché minima attinenza chimica, botanica, psicoattiva o culturale l'una con le altre: il principale denominatore comune delle sostanze psicotrope è, oltre la caratteristica di avere un effetto di qualche tipo sull'organismo, il fatto che siano tutte considerate illegali e che soggiacciano quindi alle medesime dinamiche sociali e regole di mercato (quasi sempre commisto, questo) in quanto "droghe". Non evidenziare la totale estraneità fra Cannabis, coca, oppio, caffè, alcool, tabacco eccetera è un errore scientifico; evidenziarla equivale a mettere in discussione il concetto di "droga" come è generalmente percepito.

In questo frangente la dicitura "droghe leggere" ha una precisa collocazione storica.

Il proibizionismo moderno sulla Cannabis è iniziato nel 1937 con il Marijuana Tax Act statunitense; questa legge infatti (promossa presso il Congresso USA da Harry Anslinger con ogni mezzo, fra cui campagne promozionali oggi considerate propaganda allarmistica e oscurantista, "reinterpretazioni" di articoli dai giornali riguardo ai più brutali omicidi commessi nel paese come se fossero stati causati dall'uso di Marijuana, "documentari" palesemente faziosi come "Reefer Madness" (1936), viaggi in tutti gli Stati Uniti mettendo in allarme la società sui pericoli dell'"assassina della gioventù", "erba del diavolo" o "mostro davanti il quale perfino Frankstein sarebbe impallidito") diede il via al proibizionismo su scala mondiale, istituito dall'ONU nel 1961 su forte pressione degli Stati Uniti. Il rappresentante americano della Commissione ONU per le droghe stupefacenti era, ancora, Harry Anslinger.



Presentata come sostanza stupefacente letale, in grado di causare follia, scatti d'ira, violenza eccetera, la marijuana mantenne questa immagine a livello generale fino agli anni cinquanta, essendo tra l'altro un prodotto di nicchia consumato, come eloquentemente sottolineato da Anslinger, specialmente da neri ed ispanici (fatto che contribuì non poco alla demonizzazione della pianta fra la popolazione americana). Con l'inizio dell'integrazione sociale dei neri e la percezione che i pericoli derivanti dai "comunisti", come dipinti e demonizzati da Joseph McCarthy, erano probabilmente esagerati, si iniziò a diffondere, assieme alla controcultura giovanile di quegli anni, la consapevolezza che la marijuana sembrava non uccidere nessuno, né tantomeno pareva essere la causa d'incontrollabili attacchi di violenza, episodi psicotici, stupri, omicidi eccetera. Coloro i quali erano stati giovani negli anni trenta erano adesso adulti spesso con figli, che avevano sperimentato sulla loro pelle come la Cannabis fosse completamente un'altra sostanza rispetto, ad esempio, agli oppiacei o all'alcool. E avrebbero potuto far passare questa testimonianza alle generazioni future.

Venne introdotto il concetto di "droghe leggere" negli anni cinquanta per giustificare la distanza fra la politica di tolleranza zero tenuta nei confronti della Cannabis a causa di quelli che erano presentati come i suoi effetti, definiti per anni disastrosi, ed il riscontro nel popolo che iniziava a conoscere questa sostanza che cominciava a diffondersi e ad accorgersi di come non fosse realmente così pericolosa per tutti, come dichiarato. Per far fronte al dilagare di questa percezione di sostanziale innocuità, iniziò a circolare la voce che di marijuana non si moriva perché, pur essendo una droga a tutti gli effetti, era una "droga leggera", dotata della subdola proprietà di essere una "droga di passaggio" verso le ancora più pericolose, e stavolta letali, eroina e cocaina. Era nata così la teoria del passaggio, Gateway drug theoryin inglese, cavallo di battaglia del proibizionismo cavalcato poi abbondantemente da Reagan negli anni ottanta e tuttora da qualcuno considerata dotata di fondamento scientifico.

In realtà non esiste nessuna intrinseca proprietà nella Cannabis che possa mettere in relazione la medesima con sostanze di altra natura, ad esempio oppiacea.

I sostenitori della teoria del passaggio ritengono che la eventuale assuefazione agli effetti della marijuana porterebbe all'uso di droghe pesanti, capaci di creare una reale dipendenza in senso medico; basandosi sull'errata interpretazione del fatto che molto spesso, consumatori di eroina hanno in passato fatto uso di marijuana. Il fatto che un dato fenomeno ne preceda un altro non implica un rapporto di causa-effetto fra i due e le ricerche condotte non hanno mai dato alcun risultato a sostegno di tale teoria. In tal senso l'unica accertata e possibile causa di "passaggio" dalla Cannabis nel calderone delle droghe, con tutte le conseguenze e le relative dinamiche sociali derivanti. Questo è uno dei motivi che hanno spinto i Paesi Bassi a tentare un approccio più cauto, vendendo la Cannabis in appositi esercizi, in modo che chi volesse utilizzarla non debba rivolgersi a mercati vicini a sostanze oggettivamente pesanti, come l'eroina. L'esistenza di una distinzione in questi due gruppi, droghe leggere e pesanti viene, unicamente in questo contesto, strumentalmente accettata dai sostenitori della "teoria del passaggio" i quali, pur riconoscendo la relativa blandezza del sottoinsieme "droghe leggere", ne sostengono tuttavia la relativa pericolosità in quanto farebbe da ponte di passaggio verso le droghe pesanti, e perciò ne contrastano la legittimazione dell'uso e della vendita.

Al giorno d'oggi poi i sostenitori di una politica antiproibizionista tendono a sottolineare come marijuana e hashish abbiano un effetto molto meno pesante, ad esempio, di altre sostanze assolutamente legali e diffuse, come l'alcool e la nicotina contenuta nel tabacco capaci di indurre una dipendenza fisica assai più pesante.

A seconda delle legislazioni, le droghe leggere possono essere oggetto di sanzioni pecuniarie, sequestro della sostanza e del passaporto/patente di guida, decreto di espulsione per immigrati, o perseguite penalmente.

Si distingue la disciplina in merito a: importazione, esportazione, coltivazione, trasporto, stoccaggio, commercio e vendita, consegna e ricezione, possesso e consumo. Altre distinzioni riguardano la modalità del consumo (in luogo pubblico isolato e non, in presenza di minori, il quantitativo consentito), e la finalità (scopo terapeutico, uso personale generico).

In Italia è illegale, ma l’uso esclusivamente personale è depenalizzato ma punito con sanzioni amministrative (sospensione / revoca della patente, del porto d'armi, del permesso di soggiorno,...). È disciplinata dal D.P.R. n. 309/1990, che costituisce il Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. La normativa (che ha sostituito la legge 685/1975, dal contenuto simile, che a sua volta sostituiva le precedenti di epoca fascista e post-guerra 396/1923, 1145/1934 e 1041/1954, che prevedevano in taluni casi l'ospedalizzazione forzata dei tossicodipendenti e pene sostanzialmente basse per lo spaccio, allora fenomeno molto poco diffuso), in parte cambiata dai referendum abrogativi del 1993, che resero la posizione dei consumatori ancora più leggera, è stata modificata nuovamente dalla legge n. 49/2006, la cosiddetta Legge Fini-Giovanardi, che si caratterizza per l'inasprimento delle sanzioni, già elevate nel 1990, relative alle condotte di produzione (anche la coltivazione personale), traffico, detenzione illecita ed uso di sostanze stupefacenti, e per la contestuale abolizione delle distinzioni tra "droghe leggere", quali la cannabis pura, ossia di origine completamente naturale e senza aggiunte di altre sostanze, e "droghe pesanti", quali cocaina, eroina, ecstasy, LSD, ecc. Tuttavia il 12 febbraio 2014 la legge Fini-Giovanardi viene decretata incostituzionale con la sentenza 32/14 della Corte Costituzionale, e ritorna in vigore la precedente legge, la Jervolino-Vassalli. Questa legge, a differenza della precedente, re-introduce la differenza tra droghe leggere e pesanti, e diminuisce il carcere previsto per il reato di spaccio di droghe leggere (aumentando invece quello per le droghe pesanti).

A norma dell'art. 75 del predetto T.U., l'uso esclusivamente personale costituisce un illecito amministrativo comportante le relative sanzioni, da applicarsi singolarmente o cumulativamente, a seconda delle peculiarità del caso concreto. Si tratta, in particolare, della sospensione del passaporto, la sospensione della patente di guida, o il divieto di conseguirla, nonché la sospensione del porto d'armi. Tali sanzioni devono avere durata compresa tra un minimo di un mese ed un massimo di un anno.

La legge Fini-Giovanardi fissava i limiti di possesso personale di principio attivo oltre i quali esiste indizio di spaccio con rischio di sanzione penale. Il limite fissato per la cannabis è di 500 mg di THC, pari a 5 grammi di sostanza lorda (principio attivo 10%). Il solo superamento di questo limite non è sufficiente ad ipotizzare una destinazione allo spaccio, ma devono essere presi in considerazione gli altri parametri normativi definiti nell’art. 73 comma 1-bis let. a), D.P.R. n. 309/1990 (modalità di presentazione, peso lordo complessivo, confezionamento frazionato, altre circostanze dell'azione). La detenzione di sostanze stupefacenti che “appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale” costituisce un reato punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000 (art. 73/1bis DPR 309/1990) oppure con la reclusione da uno a sei anni e con una multa da €3000 a €26.000 per i cosiddetti fatti di lieve entità (art. 73/5 DPR 309/1990).




L'abrogazione della Fini Giovanardi ha abolito il limite dei 500 mg, anche se permangono gli elementi indiziari per decidere se la detenzione sia a uso personale o invece destinata allo spaccio che la legge aveva recepito dalla giurisprudenza, e cioè:

la quantità, la qualità e la composizione della sostanza , anche in rapporto al reddito del detentore e del suo nucleo familiare nonché la disponibilità di attrezzature per la pesatura o il confezionamento della sostanza oltre che sulla base delle concrete circostanze del caso (cfr. tra le altre, Cass. pen., sez. VI, 19/04/2000, n.6282, D'Incontro).
Il 13 gennaio 2014 il comune di Torino ha approvato due ordini del giorno, nel primo ha chiesto alla Regione di seguire l’esempio di altre regioni quali la Toscana, la Liguria, la Puglia, e in particolar modo il Veneto, la quale oltre ad aver autorizzato i farmaci cannabinoidi per la terapia del dolore, ha approvato una legge per sperimentare la distribuzione gratuita di preparati a base di cannabis negli ospedali e nelle farmacie, e la produzione diretta di marijuana a scopo terapeutico, e nel secondo l’abolizione o dei cambiamenti della Legge Fini-Giovanardi, poiché ritenuta troppo restrittiva nonché una delle cause del sovraffollamento delle carceri, dando il via libera alla produzione della cannabis anche a scopo ricreativo. Benché il comune si è espresso favorevolmente alla legalizzazione della marijuana, tuttavia rimane ancora illegale, perché proibita da leggi nazionali, che non sono nelle competenze regionali, come da articolo 117 della Costituzione. In Italia politici come Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi hanno affermato di non riconoscere alcuna differenza fra droghe leggere e pesanti nel senso che, secondo la loro visione politica, tutte le droghe sono uguali in quanto ugualmente rischiose per la salute e la società. In particolare, questa visione è stata riproposta con forza dall'on. Giovanardi, che è contrario all'uso di ogni droga, tranne che per specifiche utilizzazioni a scopo terapeutico sotto stretto controllo medico. Nel corso della trasmissione Porta a porta del 30 ottobre 2001 l'allora Ministro della salute Girolamo Sirchia dichiarò: "Le differenze fra droghe leggere e pesanti sono sfumature".

Nell'ordinamento legislativo italiano il testo unico in materia di stupefacenti è il D.P.R. 309/90 che suddivide le sostanze psicotrope in diverse tabelle.

Nella tabella I sono indicati:
l'oppio e i materiali da cui possono essere ottenute le sostanze oppiacee naturali, estraibili dal papavero sonnifero; gli alcaloidi ad azione narcotico-analgesica da esso estraibili; le sostanze ottenute per trasformazione chimica di quelle prima indicate; le sostanze ottenibili per sintesi che siano riconducibili, per struttura chimica o per effetti, a quelle oppiacee precedentemente indicate; eventuali intermedi per la loro sintesi; le foglie di coca e gli alcaloidi ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale da queste estraibili; le sostanze ad azione analoga ottenute per trasformazione chimica degli alcaloidi sopra indicati oppure per sintesi;
le sostanze di tipo amfetaminico ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale;
ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore a quelle precedentemente indicate; gli indolici, siano essi derivati triptaminici che lisergici, e i derivati feniletilamminici, che abbiano effetti allucinogeni o che possano provocare distorsioni sensoriali;
a) Nella sezione A della tabella II sono indicati:
i medicinali contenenti le sostanze analgesiche oppiacee naturali, di semisintesi e di sintesi;
i medicinali di cui all'allegato III-bis al presente testo unico;
i medicinali contenenti sostanze di corrente impiego terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di grave dipendenza fisica o psichica;
i barbiturici che hanno notevole capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe, nonché altre sostanze ad effetto ipnotico-sedativo ad essi assimilabili ed i medicinali che li contengono;
b) Nella sezione B della tabella II sono indicati:
la cannabis indica, i prodotti da essa ottenuti; i tetraidrocannabinoli, i loro analoghi naturali, le sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano ad essi riconducibili per struttura chimica o per effetto farmaco-tossicologico;
ogni altra pianta i cui principi attivi possono provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale;
i medicinali che contengono sostanze di corrente impiego terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti dai medicinali elencati nella sezione A;
i barbiturici ad azione antiepilettica e i barbiturici con breve durata d'azione;
le benzodiazepine, i derivati pirazolopirimidinici ed i loro analoghi ad azione ansiolitica o psicostimolante che possono dar luogo al pericolo di abuso e generare farmacodipendenza;
c) Nella sezione C della tabella II sono indicati:
le composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella II, sezione B, da sole o in associazione con altri principi attivi, per i quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica;
d) Nella sezione D della tabella II sono indicati:
le composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella II, sezioni A o B, da sole o in associazione con altri principi attivi quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa e per le modalità del loro uso, presentano rischi di abuso o farmacodipendenza di grado inferiore a quello delle composizioni medicinali comprese nella tabella II, sezioni A e C, e pertanto non sono assoggettate alla disciplina delle sostanze che entrano a far parte della loro composizione;
le composizioni medicinali ad uso parenterale a base di benzodiazepine;
le composizioni medicinali per uso diverso da quello iniettabile, le quali, in associazione con altri principi attivi non stupefacenti contengono alcaloidi totali dell'oppio con equivalente ponderale in morfina non superiore allo 0,05 per cento in peso espresso come base anidra; le suddette composizioni medicinali devono essere tali da impedire praticamente il recupero dello stupefacente con facili ed estemporanei procedimenti estrattivi;
e) Nella sezione E della tabella II sono indicati:
le composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella II, sezioni A o B, da sole o in associazione con altri principi attivi, quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa o per le modalità del loro uso, possono dar luogo a pericolo di abuso o generare farmacodipendenza di grado inferiore a quello delle composizioni medicinali elencate nella tabella II, sezioni A, C o D.
Nelle tabelle I e II sono compresi, ai fini dell'applicazione del presente testo unico, tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri, ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri, nonché gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti, relativi alle sostanze ed ai preparati inclusi nelle tabelle, salvo sia fatta espressa eccezione.
Le sostanze incluse nelle tabelle sono indicate con la denominazione comune internazionale, il nome chimico, la denominazione comune italiana o l'acronimo, se esiste. È, tuttavia, ritenuto sufficiente, ai fini dell'applicazione del presente testo unico che nelle tabelle la sostanza sia indicata con almeno una delle denominazioni sopra indicate, purché idonea ad identificarla.
Le sostanze e le piante di cui al comma 1, lettera a), sono soggette alla disciplina del presente testo unico anche quando si presentano sotto ogni forma di prodotto, miscuglio o miscela.
Il 12 febbraio 2014 la consulta boccia la Fini-Giovanardi, decretandola non costituzionale, in quanto le modifiche furono apportate con forzature legali. La legge Fini-Giovanardi è stata quindi quasi completamente abrogata: secondo la Corte Costituzionale nella norma di conversione furono inseriti emendamenti estranei all'oggetto e alle finalità del decreto, invalidando l'atto legislativo, anche se non direttamente il contenuto, in cui la sentenza non entra nel merito. Con la decisione rivive la legge Iervolino-Vassalli come modificata dal referendum del 1993, che prevede pene più basse per le droghe leggere, e nessuna punibilità per l'uso personale, anche se permane l'illecito amministrativo (la possibilità di sospensione della patente, del porto d'armi e del passaporto).

Sempre nel 2014, a fine aprile, è stato quindi votato alla Camera l'aggiornamento del decreto, nella versione proposta dal governo Renzi: viene reintrodotta la differenza tra droghe leggere e pesanti, con pene più basse, soprattutto per i consumatori e i possessori di droghe derivate dalla Cannabis. Vengono introdotte sanzioni più basse per lo spaccio di lieve entità; la cessione illecita di piccole dosi di stupefacenti sarà colpita con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e una multa da mille a 15mila euro. Questa riduzione della pena evita la custodia cautelare in carcere; l’arresto facoltativo sarà possibile solo in caso di flagranza. Il reato di spaccio (non il traffico di grosse quantità) non distingue invece tra droghe leggere e pesanti, spetterà al giudice decidere. Il piccolo spacciatore potrà usufruire del nuovo istituto della messa alla prova, onde alleggerire il sovraffolamento carcerario; il giudice può applicare, anziché detenzione e multa, la pena del lavoro di pubblica utilità. La sanzione alternativa è revocabile se si violano gli obblighi connessi al lavoro e non può sostituire la pena per più di due volte. L’acquisto o la detenzione di sostanze per uso personale non ha più rilevanza penale e permangono solo le sanzioni amministrative (quali la sospensione della patente, del porto d’armi, del passaporto o del permesso di soggiorno) che avranno però durata variabile a seconda che si tratti di droghe pesanti (da 2 mesi a un anno) o leggere (da uno a 3 mesi). Al Ministero della Salute, al Consiglio Superiore della Sanità e alle amministrazioni locali spettano sempre le applicazioni pratiche delle tabelle e delle norme. Controverso rimane il caso della coltivazione a stretto uso personale, considerato lecito da molte sentenze giudiziarie e toccato dal cosiddetto "decreto svuotacarceri" del 2 aprile 2014, ma che viene lasciato decidere ai decreti attuativi del governo, e non depenalizzato ufficialmente; attualmente è ancora perseguibile. Vengono depenalizzati solo la coltivazione ad uso sperimentale di istituti di ricerca, già lecita, ma prima soggetta a molte restrizioni e autorizzazioni ministeriali.

Sebbene la coltivazione di una pianta contenente sostanza stupefacente, anche domestica, è punibile ai sensi dell’art. 73 comma 1, D.P.R. n. 309/1990, la Suprema Corte di Cassazione (Sentenza 17 febbraio 2011, n. 25674) ha rigettato (dopo altre sentenze invece accoglitive) un ricorso del procuratore generale di Catanzaro contro una sentenza di non luogo a procedere emessa al termine di un’udienza preliminare nei confronti di un individuo per la coltivazione di una pianta di cannabis. Come motivato dalla Suprema Corte, questa ha riconosciuto la modesta «attività posta in essere (coltivazione domestica di una piantina posta in un piccolo vaso sul terrazzo dì casa, contenente un principio attivo di mg.16), (…) del tutto inoffensiva dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice». La dimensione modesta della coltivazione non era tale porre in pericolo la salute pubblica e la sicurezza pubblica, con la conseguente non configurabilità del reato contestato.

La Corte di Cassazione ha emesso la sentenza n. 47604/2012, secondo la quale l’offerta in vendita di semi di piante in grado di produrre sostanze stupefacenti, non è connessa al reato citato dall’articolo 82, a patto che non vi sia l’istigazione alla coltivazione e al consumo delle dette sostanze. Per tale ragione, saranno i giudici, valutando caso per caso, a stabilire un’eventuale connessione tra l’attività di coltivazione e l’incentivazione al consumo e alla distribuzione di marijuana. Ad ogni modo, secondo la Corte, la semplice vendita di semi non può essere intesa come penalmente rilevante, poiché va a configurarsi come mero atto preparatorio, non punibile dalla legge in quanto non sarebbe possibile dedurre con chiarezza la reale destinazione e utilizzo dei semi in questione.

È teoricamente consentito l'uso terapeutico di preparati medicinali a base di marijuana debitamente prescritti secondo le necessità di cura. In Italia la prima Regione ad avviare una fase di regolamentazione dell'uso terapeutico della Marijuana è stata la Puglia con la delibera della Giunta regionale n.308 del 9 febbraio 2010, firmata dall’allora presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, che stabilisce l’erogazione a carico del servizio sanitario regionale. Secondo la delibera pugliese i derivati della Cannabis, sotto forma di specialità medicinali o di preparati galenici magistrali, anche in associazione, possono essere prescritti dal medico specialista in neurologia, oncologia o preposto al trattamento della terapia del dolore cronico e acuto, alle dipendenze di strutture sanitarie pubbliche, nei casi in cui altri farmaci disponibili si siano dimostrati inefficaci o inadeguati al bisogno terapeutico, condizioni che possono verificarsi nella spasticità secondaria in malattie neurologiche, nella nausea e vomito, non sufficientemente controllati, indotte da chemioterapia o radioterapia, nel dolore cronico neuropatico non rispondente ai farmaci disponibili. La certificazione ha una validità di sei mesi e la prescrizione (Ricetta non ripetibile) trenta giorni. La delibera autorizza le Farmacie Ospedaliere delle Aziende Sanitarie a garantire l’erogazione dei cannabinoidi a carico del Servizio Sanitario Regionale.

Il 2 maggio 2012, il consiglio regionale della Toscana ha approvato la legge che autorizza l’utilizzo della cannabis a scopo terapeutico nella regione, seguita il 31 luglio dello stesso anno da una legge regionale della Liguria. Nonostante ciò la situazione è tale che per via della difficoltà effettiva dell'ottenere una regolare prescrizione o per i costi notevoli del farmaco a base di marijuana, in Italia moltissimi malati, per curarsi, sono costretti a comprarla dagli spacciatori o a coltivarla in proprio, rischiando il carcere (se superano di poco un certo quantitativo nel primo caso, e nel secondo, se il giudice lo ritiene corretto).

Il 23 gennaio del 2013 la cannabis è entrata in tabella 2, quindi rientra anche nell'uso terapeutico. Nel settembre 2014 i ministri della Salute e della Difesa hanno autorizzato la coltivazione di cannabis a uso medico, autorizzando la coltivazione di piante per realizzare medicine all'interno dello stabilimento chimico-militare di Firenze; i nuovi farmaci potrebbero entrare in commercio già dal 2015.

Durante il 2014 a Palermo è stata approvata una filiera composta da dei coltivatori per la coltivazione di cannabis da usare per fini terapeutici e per la fornitura di materia prima a vari comparti, tra cui quello tessile e della bio-edilizia.

E ora il suggerimento che ha fatto tanto discutere: “Dunque, davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo, in quanto parliamo di un mercato oramai unitario anche nel settore degli stupefacenti) sia opportuna una depenalizzazione della materia, tenendo conto del fatto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi, si dovranno tenere presenti, da una parte, le modalità e le misure concretamente (e non astrattamente) più idonee a garantire, anche in questo ambito, il diritto alla salute dei cittadini (specie dei minori) e, dall’altra, le ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell’ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite”.

Poche righe che pongono al legislatore le molte problematiche di una questione rimandata per troppo tempo. Non è sufficiente prendere un modello preso all'estero e applicarlo qui da noi (qui le legislazioni in campo europeo). L'Italia rappresenta una realtà 'particolare'.
Depenalizzare significa non qualificare più come reato penale ciò che finora lo è stato. Legalizzare è un passo che va oltre: vuol dire porre sotto l’egida dello Stato la produzione, il controllo e la distribuzione di determinate sostanze. Depenalizzare non priverebbe la criminalità organizzata del suo business. La legalizzazione è più incisiva, ma non eliminerebbe la presenza delle mafie dal mercato delle sostanze stupefacenti.

Molti proibizionisti citano le parole, ancora attuali, di Paolo Borsellino. Si è dichiarato più volte contrario alla legalizzazione (e alla depenalizzazione) il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri. Critico anche Ernesto Savona,  direttore di Transcrime, il centro sulla criminalità transnazionale dell’Università di Trento. “Scordiamoci che legalizzando la marijuana si possa fermare il narcotraffico”.

Se la produzione e la distribuzione passasse sotto il controllo dello Stato, lo stupefacente regolarmente venduto avrebbe una tassazione (come accade sul tabacco). Qualora fosse alta “farebbe rientrare in gioco le organizzazioni criminali attraverso il contrabbando”. Se invece i prezzi dello Stato fossero ‘concorrenziali’, quindi bassi, il rischio è un aumento dell numero dei consumatori.

Altro punto toccato dal criminologo: “I narcotrafficanti immetterebbero sul mercato altro genere di sostanze vietate. Gli unici a ‘rimetterci’ sarebbero i piccoli spacciatori, l’ultimo anello della catena”. Le droghe leggere rappresentano solo una parte, seppur rilevante, del lucroso traffico di stupefacenti in mano alle mafie.

Vanno considerati altri due aspetti: i minori, che già oggi rappresentano una grossa fetta dei consumatori di cannabis, sarebbero esclusi dall’acquisto legale di sostanze stupefacenti. Un mercato estremamente appetibile per la criminalità. C’è poi un tema già sottolineato da Paolo Borsellino 25 anni fa. “Farsi le canne” come “andare a prostitute” è una pratica considerata ‘socialmente sbagliata’. Legalizzarle non cambierebbe una mentalità che è diffusa, ancora oggi. Ci sarebbe omunque chi preferisce nascondersi per 'ragioni sociali', comprando lo stupefacente o pagando una prestazione sessuale al di fuori dei circuiti legali.

Legalizzare sarebbe una manna per le casse dello Stato: introiti che oggi finiscono nelle casse della criminalità organizzata  verrebbero dirottati sull’Erario. Come abbiamo già avuto modo di constatare è vero fino ad un certo punto, ma è innegabile che per lo Stato diventerebbe una cospicua entrata, oltre che un potenziale business da capogiro per i colossi del tabacco.

L'aspetto economico della questione non si limita alla tassazione dello stupefacente. In questo articolo de lavoce.info, che a sua volta riprende il lavoro del Rand Drug Policy Research Center, viene citata un’analisi di costi e benefici che possiamo riassumere così:

BENEFICI:

- maggior gettito fiscale

-  un aumento del PIL derivante dall’emersione di una fetta della grande economia sommersa rappresentata dal traffico di stupefacenti

- riduzione delle spese statali (minor impiego di forze di polizia per la repressione del fenomeno)

- una diminuzione del carico giudiziario

- ripercussioni positive sul sistema carcerario

- conseguente aumento di risorse disponibili per la lotta alle droghe pesanti

- diminuizione dei rischi per la salute. Sembra un controsenso ma il consumatore avrebbe tutto le informazioni su cosa sta assumendo e sugli effetti. La 'qualità del prodotto' sarebbe garantita.

COSTI:

-  regolamentare un mercato così esteso ha dei costi di ‘passaggio’. Lo Stato per produrre, distribuire e incassare deve passare da un investimento iniziale, che parte dalla creazione di un’Agenzia che avrà il compito di gestire il tutto, compresa la custodia e il controllo della preziosa merce

- potenziale aumento dei consumatori

- conseguente aumento delle spese sanitarie per cure e disintossicazione (ma vale molto meno per la cannabis che per le droghe pesanti)

- Sforzo ulteriore per l’educazione alla prevenzione

Il gioco sembra valere la candela, ma i critici attaccano questa impostazione perché metterebbe i benefici economici davanti alla salute.

La divisione tra droghe leggere e pesanti non è una scelta arbitraria. Diverse le ‘materie prime’, i trattamenti nella produzione, gli effetti, la capacità di creare dipendenza, i danni arrecati alla salute e/o alla personalità nel breve e nel lungo periodo.  Naturalmente ogni abuso è deleterio, ma vale anche per sostanze perfettamente legali come alcool o tabacco. Non entriamo nel dettaglio perché non siamo medici, gli studi sono migliaia e a disposizione di tutti. Proviamo invece a calare quello che sappiamo nella realtà.

L’Antimafia sottolinea “l’inadeguatezza di ogni sforzo repressivo”. Le droghe, leggere o pesanti, sono e saranno sempre richieste. Un’ovvietà, ma che forse è il caso di rimarcare.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/09/tossicodipendenza-e-costi-sociali.html




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