lunedì 27 giugno 2016

LA PROCESSIONARIA

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La processionaria sembrerebbe un simpatico millepiedi. La Thaumetopoea pityocampa o la sua 'cugina', la Thaumetopoea processionea - nome scientifico rispettivamente della processionaria del pino e quella della quercia - per l'uomo e per gli animali sono pericolosissime. Appartengono alla famiglia dei lepidotteri. Se toccate, possono scatenare reazioni allergiche, dermatiti, orticarie, congiuntiviti e anche problemi alle vie respiratorie. In casi gravi può verificarsi uno shock anafilattico.

La processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa) è un insetto dell'ordine dei lepidotteri appartenente alla famiglia Notodontidae.
Esso deve il suo nome alla caratteristica abitudine di muoversi sul terreno in fila, formando una sorta di "processione".
Questo artropode si trova nelle regioni temperate dell'Europa meridionale, nel vicino Oriente e perfino nell'Africa settentrionale.

E' uno degli insetti più distruttivi per le foreste, capace di privare di ogni foglia vasti tratti di pinete durante il proprio ciclo vitale.

Le pianta più colpita è il pino (in particolare il pino nero e il pino silvestre), ma è facile trovarne anche presso larici e cedri.

La processionaria è attiva solo durante i periodi freddi dell'anno, dal momento che trascorre i caldi mesi estivi come bozzolo seppellito sotto terra.
Le falene iniziano a emergere dal suolo nel mese di agosto; trascorso qualche giorno iniziano la ricerca di piante adatte per deporre le uova.
Ogni femmina produce un "ammasso" di uova che viene fissato ad un ago dell'albero ospitante. L'ammasso può contenere fino a 300 uova, dalle quali dopo almeno 4 settimane nascono le tipiche larve. Le uova sono completamente ricoperte da scaglie provenienti dall'addome della femmina.

Nonostante la modesta dimensione, le larve sono dotate di forti mandibole in grado di fagocitare i duri aghi già subito dopo la nascita.
In poco tempo, spogliato completamente un ramo, si muovono in fila alla ricerca di nuovo nutrimento.
I bruchi vivono in gruppo. Inizialmente sono nomadi, spostandosi di ramo in ramo costruendo nuovi nidi provvisori, ma verso ottobre formano un nido sericeo dove affronteranno l'inverno.
L'attività riprende in primavera e le processionarie, in genere verso la fine di maggio, si dirigono in un luogo adatto per tessere il bozzolo.
Trovatolo, lì si interrano ad una profondità variabile di circa 15 cm. Lo stato di crisalide ha durata di circa un mese, ma può prolungarsi anche per uno o più anni.

L’insetto, raggiunta la maturità e avvenuta la metamorfosi, durante il mese di luglio esce dal bozzolo.

L’adulto è una falena con ali larghe 3-4 cm, di colore grigio con delle striature marroni; la femmina è solitamente di dimensioni lievemente maggiori del maschio.

La loro vita è molto breve: non più di 2 giorni.
Le femmine sono le prime a recarsi sugli alberi ad alto fusto, dove vengono in seguito fecondate dal maschio.

Il lepidottero vola alla ricerca della pianta più adatta per la deposizione delle uova e il ciclo ricomincia.



Gli adulti della processionaria della quercia sono farfalle notturne molto simili alla processionaria del pino.
Le larve sono di colore grigiastro e anch'esse fornite di peli altamente urticanti.
Tali bruchi compaiono in aprile, hanno un'attività più intensa nelle fasi crepuscolari e notturne del giorno e si spostano per alimentarsi formando processioni irregolari.
Durante il giorno le larve si riparano dentro nidi appiattiti costruiti sui grossi rami o alla base del fusto della pianta colpita dal parassita: la quercia a foglia caduca.
Concluso lo sviluppo larvale, avviene l’incrisalidamento entro un nido definitivo, solitamente posto lungo il tronco della pianta ospite. La metamorfosi porterà ad una nascita di una nuova falena tra luglio e settembre.

I problemi causati dall'insetto sono equivalenti a quelli della processionaria del pino.

La processionaria, oltre a desfogliare piante intere, può costituire un pericolo maggiore per l'uomo e gli altri animali.
I peli urticanti dell'insetto allo stato larvale sono velenosi, e in alcuni casi, fortunatamente limitati, possono provocare una grave reazione allergica.

I peli urticanti della processionaria si separano facilmente dalla larva che li porta sul dorso, nel corso di un contatto o più semplicemente sotto l'azione del vento. Data la particolare struttura (terminano infatti con minuscoli ganci), questi peli si attaccano facilmente ai tessuti (pelle e mucose), provocando una reazione urticante data dal rilascio di istamina (sostanza rilasciata anche in reazioni allergiche). Chi avesse ripetuti contatti con la processionaria presenta reazioni che peggiorano con ogni nuovo contatto. In casi gravi può verificarsi uno shock anafilattico, con pericolo mortale (orticaria, sudorazione, edema in bocca e in gola, difficoltà di respirazione, ipotensione e perdita di coscienza).
La reazione cutanea ha luogo sì sulle parti della pelle non coperte, ma anche sul resto del corpo: il sudore, lo sfregamento dei vestiti facilitano la dispersione dei peli, causando spesso l'insorgere di un eritema pruriginoso.

Rapido sviluppo di congiuntivite (con rossore e dolore agli occhi). Se un pelo urticante arriva in profondità del tessuto oculare, si verificano gravi reazioni infiammatorie e, in rari casi, la progressione a cecità.

I peli urticanti irritano le vie respiratorie. Tale irritazione si manifesta con starnuti, mal di gola, difficoltà nella deglutizione e, eventualmente, difficoltà respiratoria provocata da un broncospasmo (restringimento delle vie respiratorie come si verifica per l'asma).

Infiammazione delle mucose della bocca e dell'intestino accompagnata da sintomi quali salivazione, vomito, dolore addominale.

La processionaria risulta molto pericolosa in particolare nei confronti di cavalli e cani, i quali, brucando l'erba o annusando il terreno, possono inavvertitamente ingerire i peli urticanti che ricoprono il corpo dell'insetto.
I sintomi che un cane presenta in questa spiacevole evenienza sono spesso gravi.
Il primo sintomo è l’improvvisa e intensa salivazione, provocata dal violento processo infiammatorio principalmente a carico della bocca ed in forma meno grave dell’esofago e dello stomaco.
In questi casi il padrone intuisce la gravità di quanto è successo, perché vede che il fenomeno non accenna per niente a diminuire, anzi con il passare dei minuti, soprattutto la lingua, a seguito dell’infiammazione acuta, subisce un ingrossamento patologico a volte raggiungendo dimensioni spaventose, tali da soffocare l'animale.
I peli urticanti, entrando in contatto con la lingua, causano una distruzione del tessuto cellulare: il danno può essere talmente grave da provocare processi di necrosi con la conseguente perdita di porzioni di lingua.
Altri sintomi rilevanti sono: la perdita di vivacità del soggetto, febbre, rifiuto del cibo, vomito e diarrea e soprattutto quest’ultima può essere anche emorragica.

Se rilevata la presenza di questi lepidotteri defogliatori, evitare di addentrarsi nei boschi colpiti e di avvicinarsi alle fronde delle piante su cui si rinvengono i bruchi in alimentazione.
– evitare di sostare nelle vicinanze, e sotto, alberi o arbusti infestati: i peli possono essere trasportati dall’aria fino a una distanza di 200 metri.
– evitare di toccare i nidi o le larve.
– evitare di effettuare lavori che possono diffondere nell’aria i peli urticanti che riposano al suolo, ad esempio: rastrellare foglie e/o erba falciata, falciare l’erba.
– evitare di toccare la corteccia di alberi, arbusti o rami che hanno ospitato un nido.
IN CASO DI CONTATTO :
– fare subito una doccia, lavarsi i capelli e cambiare gli abito sui quali potrebbero ancora essere presenti peli urticanti.
– non grattare le zone del corpo contaminate.
– lavare gli abiti contaminati ad almeno 60°.
– trattare la pelle pulita con un prodotto antistaminico.
– recarsi dal medico, al protrarsi dei sintomi.

La lotta meccanica consiste nel togliere manualmente dalla pianta infestata i nidi di processionaria, consigliabile quando l’infestazione coinvolge poche piante in orti o giardini. Tale operazione viene svolta solitamente in inverno/primavera, prima che le larve siano uscite dal nido, con l’ausilio di scale e troncarami; durante il prelevamento dei nidi è necessario vestirsi in modo adeguato per evitare il contatto con i peli urticanti. Tale metodo di intervento risulta conveniente se utilizzato su una superficie ristretta; in caso l’area di intervento sia più estesa, è indicata la lotta microbiologica. I mesi più indicati per l’asportazione meccanica dei nidi sono Dicembre, Gennaio e Febbraio.
La lotta microbiologica è attualmente il metodo di intervento più utilizzato e consiste nell’impiego dell’insetticida biologico Bacillus thuringiensis kurstaki.

Un decreto ministeriale del 2007 stabilisce le linee guida per la lotta alla processionaria. I comuni oggi controllano e provvedono alla disinfestazione, con diverse modalità. È importante non fare da sé, ma segnalare subito al comune, se si tratta di uno spazio pubblico. Nel caso di una proprietà privata, si può avvertire il proprietario. La legge ci impone la bonifica dei siti infestati.



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IL PASTORE AUSTRALIANO

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Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento gli antenati di questo cane arrivarono negli Stati Uniti occidentali subito dopo i pastori baschi. Tra i suoi antenati c'è il cane "Pastor vasco" (Euskal artzain txakurra) portato negli States dai baschi, e lo Smithfield, una razza non riconosciuta che pare derivi da un miscuglio di razze creato da pastori australiani. La razza prende il nome dall'Australia ma nasce e si sviluppa negli Stati Uniti. Nel 1957 viene fondata in Arizona l'A.S.C.A. (Australian Shepherd Club of America) e nel 1976 è adottato uno standard unificato.

Il pastore australiano - che, anche se si chiama così, non arriva dall'Australia - si affeziona particolarmente ai bambini e li segue ovunque vadano. Sono cani molto intelligenti e agili, possono praticare sheepdog, agility, velocità, salto, calcio oltre che salvataggio sulla neve o nell'acqua. Non è molto alto ma nelle gare di agility viene classificato nella categoria Large.

L'Australian Shepherd può nascere con una coda lunga 10 cm, in questo caso l'esemplare è detto NBT. In passato, in caso di cuccioli che alla nascita presentavano una coda di lunghezza superiore, si procedeva all'amputazione; oggi il taglio della coda è severamente vietato dalla legge in diversi paesi. Il taglio della coda comporta l'impossibilità d'iscrizione a competizioni sportive o esposizioni in quei paesi in cui questo procedimento è vietato.

Fare accoppiamenti tra due NBT può portare gravi malformazioni.

I colori del mantello sono:
nero (solido) / tricolor nero
marrone (solido)
blue merle
red merle / tricolor red
Sono considerate difetto grave tutte le diluizioni quale il sabbia (giallo), il blu (simil ardesia) e il lilac (violaceo).

Il bianco è ammesso sul collo (collare intero o parziale), petto, arti, parti inferiori del muso, lista sulla testa e può estendersi, a partire dalla regione inferiore, su fino a 10 cm, misurando da una linea orizzontale che passa dal gomito.

Il bianco sulla testa non deve predominare, e gli occhi devono essere completamente circondati da colore e pigmento. Orecchie e occhi non pigmentati possono portare problemi di sordità e cecità.

Caratteristica dei merle è diventare più scuri con l'età.

Il pelo è di media tessitura, da diritto a ondulato, resistente alle intemperie e di media lunghezza. Il sottopelo varia in quantità a seconda del clima.

Il pelo è corto e liscio sulla testa, orecchie, parte anteriore degli arti e sotto i garretti.

Posteriore degli anteriori e culottes sono moderatamente frangiati. C'è una moderata criniera e pettorina, più pronunciate nei maschi che nelle femmine

Gli occhi possono essere marroni, blu, ambra o qualsiasi variante o combinazione dei menzionati colori, incluso punteggiature e marmorizzazioni, l'eterocromia è comune nei merle ma è considerata in standard anche nei solidi (seppure sia rara).



Le orecchie sono triangolari e ben aderenti, non dritte. La testa è ben bilanciata con cranio cubico della stessa lunghezza del muso. La taglia per i maschi va dai 51 ai 58 centimetri al garrese, mentre per le femmine va dai 46 ai 53 centimetri.

Anche se il carattere può variare da soggetto in soggetto, di solito si presenta di natura docile, è un prezioso cane da lavoro, da sempre molto apprezzato nella condotta dei greggi anche se della famiglia dei bovari. In America viene usato nella conduzione delle mandrie di bestiame. Grazie alle sue importanti ed evidenti doti di intelligenza, addestrabilità e agilità si dimostra anche ottimo cane sportivo, come pure pregevole coadiutore dell'uomo, soprattutto come cane anti-droga, cane-guida per ciechi e da salvataggio. Ma l'Australian Shepherd dà anche prova di un grande attaccamento alla famiglia, fattore che lo fa apprezzare sempre più come simpatico e affettuoso amico di vita. È detto anche il "cane che sorride" per una sua particolare attitudine ad alzare le labbra mostrando i denti in quello che non dev'essere confuso per un ringhio. Raramente litigioso con altri cani, si può dire che sta volentieri con i suoi simili. Tende ad avere un rapporto privilegiato con quello che lui identifica come "padrone". Generalmente predilige gli spazi e i luoghi in cui si trova il padrone.

È un cane rustico che non richiede particolari cure. È sufficiente avere qualche semplice attenzione per il mantello e la salute in genere. Si raccomanda quindi semplicemente qualche spazzolata periodica, un po' di movimento e un controllo per quanto riguarda i parassiti esterni.

Risulta soggetto ad alcune malattie ereditarie, le più frequenti sono la displasia dell'anca, la displasia del gomito e l'oculopatia e dopo i 3 anni può presentarsi epilessia.

Accoppiare due soggetti merle (da intendere sia blue merle che red merle) è altamente sconsigliato e dannoso per i cuccioli.

In una cucciolata tra due cani merle, si avrà circa il 25% dei cuccioli tricolore, il 50% di cuccioli merle e il restante 25% di cuccioli avranno prevalenza di bianco o quasi completamente bianchi, con il tartufo, le mucose e il contorno degli occhi depigmentati. Questo tipo di colorazione è un gravissimo difetto di standard.

Oltre a tutto ciò che riguarda il fattore estetico e di standard, questo tipo di accoppiamento può riportare sulla maggior parte dei cuccioli gravi problemi di salute come: malformazioni all'apparato uditivo (che possono portare alla sordità), e gravi problemi al bulbo oculare che spesso portano alla cecità di uno od entrambi gli occhi, cioè soggetti Lethal White.

Data la sua indole, che lo ha fatto tanto apprezzare come cane conduttore, con i primi conoscenti potrà essere un po' schivo ed avrà bisogno di compagnia ogni minuto della sua vita: non è un cane indipendente. Per ottenere il massimo dall'Australian Shepherd occorre fornirgli un'educazione coerente.


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domenica 26 giugno 2016

LA CINTURA



Le origini della cintura sono da far risalire alla preistoria: sono stati trovati resti di cinture metalliche dell'età del bronzo. Nell'antichità serviva per distinguere il grado militare, religioso o civile. Una precisazione stilistica e, nei tempi precedenti, pratica: nell'uomo, una volta allacciata la cintura la "lingua" oltre la fibbia, deve terminare sul fianco destro mentre nella donna sul fianco sinistro: questo perché nell'uomo, fin dall'antichità i vari tipi di cinture non dovevano dare "fastidio" all'estrazione della spada (portata sul fianco sinistro ed estratta con la mano destra) per cui la parte terminale andava sul fianco destro onde evitare intralci.

Il modello più comune ha fibbia ad una estremità e dei fori all'altra, infilando l'ardiglione della fibbia nei fori si ottiene la chiusura. Il vario numero dei fori, regolarmente distanziati, permette di regolarne la larghezza, per adattarla alla circonferenza della vita. Può essere dotata di qualsiasi altro tipo di chiusura o semplicemente annodata.

Cinture con funzione puramente decorativa vengono portate al di sopra dei vestiti, soprattutto nella moda femminile.

Fra i lottatori di Judo è una striscia di tessuto chiamata obi, il colore della cintura indica l'esperienza del lottatore; (bianca, gialla, arancione, verde, blu, marrone e nera).

Si ha traccia in tutte le religioni di cinture, la cui forma doveva essere quella di un semplice cordone, impiegate nelle cerimonie sacre e facenti parte degl'indumenti del sacerdote: il cingolo fa tuttora parte dell'abbigliamento liturgico del sacerdote cattolico. Oltre a ciò, diffusissima in tutti i popoli e in tutte le epoche è l'usanza di cinture in vario modo impiegate per la cura delle malattie, usanza che senza dubbio ha, alle sue origini, un significato magico, se ancor oggi presso vari popoli primitivi si adoperano delle cinture come amuleti per prevenire, per la sciatica, la tosse canina o la pleurite. Va ricordato, come particolare aspetto di quest'uso generale, l'altro, più specifico, ma più diffuso, di applicare una cintura al ventre delle partorienti sia per sorreggere il ventre stesso sia come amuleto, per allontanare le doglie; a parte le ripercussioni linguistiche di questo costume (si confronti il latino incincta nel significato di "gravida" e i derivati), numerosissimi sono gli aspetti che esso ha assunto in ogni epoca e presso ogni popolo, come varie sono le leggende fiorite intorno ad esso o i significati che gli sono attribuiti.

La cintura fa parte della moda di tutti i tempi e di tutti i paesi: in Egitto, in India, presso i Babilonesi e gli antichi Ebrei troviamo traccia di cinture che fermano in varie fogge il vestito alla vita e sono variamente ornate e disposte.

Nelle necropoli italiche dell'età del bronzo e della prima età del ferro frequenti sono i cinturoni in bronzo, di forma ellittica, con ornati a graffito o a sbalzo, costituiti da bottoni, cerchi, e talvolta anche da figure schematiche; ritenuti da qualcuno oggetti di carattere militare, è ormai accertato che erano invece ornamento muliebre, trovandosi in tombe di donne: la lamina di bronzo rivestiva la fascia di cuoio o di tela che costituiva la vera cintura. Accanto alla forma ellittica ricorre anche quella rettangolare a fascia; molte volte si sono recuperate soltanto le fibbie in metallo, mentre la cintura, di materiale deperibile, è andata distrutta.

Presso i Greci, nei miti dei quali si ricorda il cinto di Venere contenente tutte le seduzioni, la cintura faceva parte dell'abbigliamento tanto degli uomini quanto delle donne. Era necessario tenere stretto il lungo chitone, o tunica, e all'occorrenza sollevarlo rimboccandolo. A quest'uso corrisponde la varietà dei termini adoperati per indicare la maggiore o minore altezza della tunica tirata in alto per rendere libere le gambe. Il termine discinctus designa invece chi porta la tunica senza cintura, e dà l'idea di qualcuno che ha una certa negligenza o rilasciamento nel vestire e, per traslato, anche nei costumi.



La cintura era riccamente ricamata e orlata con frangie. Veniva assicurata a mezzo di fermagli di varie forme, di osso, di rame e non di rado anche d'argento e d'oro. Nelle figure rappresentate nei monumenti etruschi si trova talvolta che la cintura è completata da una specie di grembiule ricoperto di scaglie o di squame che ricade sul basso ventre.

Una cintura di forma speciale faceva parte del costume militare greco. Sopra la corazza, intorno alle gambe, la si portava sia per tenere uniti i pezzi della corazza, sia per difesa dell'anguinaia; questa cintura si chiudeva a mezzo di fermagli di varia materia, anche d'oro. Sotto la corazza, ma sopra il chitone, e nei tempi più antichi anche a contatto con il corpo stesso, si soleva mettere un'altra cintura formata da una larga fascia di sottili lamine di metallo imbottite interiormente. Anche sulle corazze (loricae) romane si cingeva una cintura (cingulum) che era un segno dello stato di servizio del militare, ufficiale o milite (v. cingolo).

Mentre nell'antichità la cintura era lasciata un po' lenta, in modo da permettere alle vesti di drappeggiarsi in pieghe, nel Medioevo appaiono cinture strettissime che il Rinascimento ornerà con tutta la sua fantasia e il suo lusso; si vedano ad esempio, le superbe cinture di Eleonora d'Este e di Isabella del Portogallo, nei ritratti del Tiziano: o la cintura meravigliosa che Benvenuto Cellini cesellò per Eleonora de' Medici. Nell'ultimo secolo fu notevole lo spostamento che più volte la moda volle portare nella cintura femminile, ora sollevandola fino alle ascelle, ora abbassandola fin sotto i fianchi. Quest'ultima posizione si mantenne per molti anni, sino ai nostri giorni; ora sembra invece che la cintura voglia riprendere il suo posto naturale.

Nel Medioevo la cintura ebbe anche grande importanza come indumento militare: solo i cavalieri avevano il diritto di portarla; essa fu adottata verso la metà del '300; l'usavano le persone nobili anche nell'abbigliamento civile, come segno di distinzione e della loro qualità militare. La cintura fu attaccata alla cotta di maglia o al giaco; e poi alla parte inferiore della corazza (più propriamente ai fiancali ed alla panciera) e fissata alle più basse lame. Il lusso di queste cinture militari divenne presto eccessivo, e ve ne sono ora nei musei che hanno valore grandissimo.

Fra il 1350 e il 1400, in Italia, in Francia e in Inghilterra le armature erano quasi identiche, e uno dei più begli esempi di cintura militare è dato dalla statua di Saverio di Lavellongo (morto nel 1375) che è nel passaggio fra il chiostro e la chiesa di S. Antonio di Padova. La cintura militare durò fino alla metà del 1400, poi disparve per lasciar luogo ad altre maniere dei distintivi di nobiltà. Cintura si diceva anche una robusta striscia di cuoio con la quale veniva affibbiata e tenuta fortemente insieme la corazza cioè la pezza di riparo del petto impigliata sopra la pezza del dorso; così il cavaliere sentiva il peso della corazza soltanto sulle parti molli dell'anca sulle quali appoggiava.

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I MOSCERINI

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Il moscerino è un piccolo insetto appartenente all'ordine dei Ditteri. Il termine fa in genere riferimento a ditteri di dimensioni dell'ordine di pochi mm e dalla livrea poco appariscente. La maggior parte dei ditteri comunemente chiamati moscerini fa capo al sottordine dei Nematoceri, ma il termine è comunemente usato anche per fare riferimento a brachiceri di piccole dimensioni e che, nell'aspetto, si distinguono dalle mosche.

Alcuni moscerini hanno apparato boccale di tipo pungente-succhiante e le femmine hanno regime dietetico parzialmente ematofago (es. Ceratopogonidi), altri invece sono incapaci di pungere e si nutrono di sostanze zuccherine (es. Chironomidi).

I moscerini sono gli insetti col più veloce battito delle ali. Un moscerino della famiglia dei Ceratopogonidi, genere Forcipomyia, batte le ali fino alla velocità di 1.000 battiti al secondo. Per confronto, la mosca ha una frequenza del battito alare di circa 200 battiti al secondo.

Tutti i moscerini sono insetti dell’ordine dei Ditteri, quindi depongono uova da cui nascono larve che, dopo varie mute, si trasformano in pupe e quindi in adulti. La specie più “nota” di moscerini è probabilmente la Drosophila melanogaster (moscerino della frutta). Gli adulti sono attratti dalla frutta marcia, dai vegetali e da tutte le sostanze in via di fermentazione. È qui che depongono le uova, così che le larve alla schiusa possano facilmente trovare di che nutrirsi. Hanno un ciclo vitale che dura circa due-tre settimane e si riproducono una sola volta nella vita. Questi moscerini vengono allevati in molti laboratori in cui si studia la genetica, perché se ne possono allevare centinaia insieme in un piccolo tubo di vetro, nutrendoli con un passato di frutta.



I moscerini sono degli insetti molto diffusi, soprattutto in estate, che solitamente invadono le case e i giardini, prediligendo soprattutto la cucina ed i barbecue, in quanto è li solitamente che è possibile trovare degli avanzi di cibo, oppure delle incrostazioni dovute ad alimenti che vi sono rimasti attaccati, soprattutto a causa di una cattiva o scorretta igiene. E’ opportuno pertanto che teniate una corretta igiene dei vostri ambienti in modo da rendere poco “confortevole” la vostra casa a questi fastidiosi insetti, che, se siamo fortunati, non entreranno affatto, tuttavia esistono degli stratagemmi aggiuntivi per ovviare a  questi fastidi.

Evitate per prima cosa di lasciare la cucina sporca, magari con piatti e stoviglie non puliti del giorno prima, lasciati nel lavello per pulirli l’ indomani, per quanto possibile, pulite tutto quanto prima ed evitate di spruzzare deodoranti dalle profumazioni floreali, in quanto attirerebbero i moscerini, inoltre smaltite sempre i rifiuti e non lasciate le pattumiere aperte. Un piccolo trucchetto, preso in prestito dalla tradizione araba ( molto utilizzata dei mercatini di generi alimentari), consiste nell’ appendere dei sacchetti di plastica trasparente ( anche quelli per congelare andranno benissimo) con dell’  acqua  all’ interno, i moscerini infatti, molto probabilmente scambieranno questi sacchetti per delle grosse ragnatele, vedendo il riflesso dell’  acqua che li confonde, ed istintivamente dovrebbero allontanarsi. Esiste anche un rimedio naturale molto efficace che consiste  nel lasciar bollire della menta in poca  acqua, filtrare ed utilizzare insieme ai prodotti per la detersione, questa pianta infatti rilascia un odore molto forte che disturba i moscerini i quali non entreranno (o entreranno in misura contenuta) nella vostra casa. Inoltre potreste utilizzare dei metodi barriera come le apposite piastrine da inserire nei fornellini per allontanare gli insetti (sconsigliabili se avete bambini), oppure posizionare sui davanzali di balconi e finestre delle piantine di menta e/o basilico.


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IL CONDIZIONATORE D'ARIA

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Il primo apparecchio per il raffreddamento climatico dell'aria fu brevettato nel 1886 da Lewis Latimer, un afroamericano, disegnatore e progettista di Thomas Edison.

Intorno al 1911 Willis Carrier (Stati Uniti) sfruttò i passaggi di stato di un gas per ottenere una variazione sia positiva ("caldo") sia negativa ("freddo") del clima nell'ambiente circostante. Tuttavia lo scopo per cui venne implementato ed utilizzato tale sistema non era inizialmente quello di rinfrescare, ma di deumidificare l'aria. Carrier lavorava come ingegnere in una compagnia che forniva impianti industriali. Il metodo dell'evaporazione di un liquido a bassa temperatura di evaporazione era già conosciuto in precedenza, ma vi era perdita della sostanza (ammoniaca), e quindi non utilizzabile per usi continui; Carrier ideò il sistema per recuperarla in un circuito chiuso. Dopo un anno di lavoro gli venne affidato il compito di risolvere il problema del controllo dell'umidità dell'aria in una tipografia di Brooklyn, dove la carta era appunto inutilizzabile a causa dell'eccessiva umidità nell'aria (perché raggrinziva).

In passato per risolvere questo problema veniva aumentata la velocità dell'aria, o si apriva qualche finestra per contrastare l'umidità con una corrente opposta. L'umidità era anche un grave problema in termini di produttività, perché portava ad un'interruzione dell'attività degli operai e quindi del lavoro. Carrier completò il primo progetto di un impianto di condizionamento dell'aria il 17 luglio 1902; la tecnologia che stava alla base del suo impianto è già simile a quella degli impianti che troviamo in commercio oggi.

Il termine "aria condizionata" fu dato da Stuart W. Cramer, che si interessò come Carrier allo studio dell'umidità e del condizionamento dell'aria.

Il condizionatore è in genere costituito da seguenti elementi essenziali:
compressore: ha lo scopo di comprimere il fluido, cioè aumentarne la pressione; nel compressore il fluido si trova allo stato gassoso; in accordo con le equazioni di stato dei gas (nel caso più semplice l'equazione di stato dei gas perfetti) aumentando la pressione di un gas aumenta anche la sua temperatura, per cui il gas all'uscita dal compressore ha una temperatura e una pressione maggiore rispetto all'entrata;
condensatore: ha lo scopo di condensare il gas, cioè portarlo allo stato liquido; tale passaggio di stato avviene sottraendo calore al gas; tale calore viene disperso nell'ambiente;
organo di laminazione: corrisponde ad una strozzatura della condotta; durante il passaggio da tale strozzatura, il liquido viene sottoposto a perdite di carico localizzate, per cui diminuisce la sua pressione e di conseguenza la sua temperatura;
evaporatore: ha lo scopo di vaporizzare il liquido, assorbendo calore dall'esterno.
I fluidi termovettori più utilizzati nei condizionatori d'aria sono (o sono stati):
R12: condizionatori industriali (ormai fuori legge);
R22: condizionatori civili e terziario (ormai fuori legge);
R407c: condizionatori civili e terziario;
R410a: condizionatori civili e terziario.
Vi sono poi una serie di componenti ed accessori che servono a completare e gestire il funzionamento del sistema, come ad esempio: valvole, pressostati, ventilatori, telecomando, sonde, schede elettroniche.

Negli impieghi civili è comune la configurazione che presenta due unità separate:
un'unità esterna, ospitante il motore del condizionatore e solitamente caratterizzata dalla ventola radiale;
un'unità interna (lo split), che provvede a mettere in circolo l'aria (condizionata o meno), distribuendola nei locali attraverso un'apposita feritoia.

I condizionatori d'aria possono essere costituiti da due unità, una detta unità interna e la seconda detta unità esterna (con una o due ventole). Tra le due unità corrono due tubi in rame per la circolazione dei fluidi (uno in ingresso e uno in uscita) e i cavi dei collegamenti di controllo e comando, mentre l'alimentazione elettrica solitamente viene portata dalla rete all'unità esterna e da essa all'unità interna.

Entrambe le unità necessitano di un tubo di scarico per evacuare l'acqua che si forma per condensazione. Ultimamente sono entrate in commercio anche macchine formate da un unico elemento le quali, se addossate ad una parete, assolvono ad entrambe le funzioni delle due prima descritte ma con notevoli limiti di rendimento e alto costo d'acquisto.

Le unità interne poi possono essere distinte in cinque tipologie costruttive:
a muro: per installazioni a muro in posizione alta;
a pavimento: tipo fancoil;
a consolle: per installazione a soffitto senza controsoffitto;
a cassetta: per installazioni a incasso nei controsoffitti;
canalizzabili: per l'installazione assiemata a condotti d'aria e anemostati.

I condizionatori si dividono in due grandi famiglie:
quelli chiamati solo freddo
quelli detti a pompa di calore.
La differenza sostanziale è che quelli a pompa di calore, oltre a raffreddare l'aria in estate, in inverno possono anche riscaldare invertendo il ciclo di funzionamento, sottraendo il calore dell'aria esterna per poi immetterlo nell'ambiente interno (ovviamente più bassa è la temperatura esterna più basso sarà il rendimento).
Un'ulteriore distinzione è quella relativa alla loro alimentazione e al loro funzionamento. Sotto questo punto di vista, ci sono due grandi famiglie:
condizionatori d'aria on-off
condizionatori d'aria ad inverter.
La tecnologia dei condizionatori on-off è più vecchia, molto semplice ed è meno costosa, ma ha un consumo elevato, perché il compressore, appena viene acceso l'apparecchio, va subito alla massima potenza e vi resta, a prescindere da quanta ne possa effettivamente servire, per poi fermarsi completamente quando è stata raggiunta la temperatura impostata e ripartire al massimo quando la temperatura non è più tale. I condizionatori ad inverter invece hanno una tecnologia detta "modulante": sotto il controllo di un sistema elettronico, viene impiegata solo la potenza necessaria per raggiungere il valore di temperatura impostato. La potenza del compressore inizialmente è massima per poi diminuire gradualmente fino al raggiungimento di tale valore, e poi viene impiegato solo il minimo necessario per mantenerlo, senza però fermarsi.

Se il condizionatore viene fatto funzionare per molte ore (per esempio di notte) è economicamente conveniente il modello inverter, in caso contrario il maggior costo rispetto al sistema on-off non viene ammortizzato, poiché la funzione modulante interviene soltanto nel momento in cui si sta per raggiungere la temperatura desiderata.

I condizionatori, come molti elettrodomestici, sono vincolati da norme sul risparmio energetico. Nell'Unione Europea dal 1º gennaio 2013 sul condizionatore dev'essere presente l'etichetta energetica, che riporta la classe di consumo energetico, che va da A+++ (migliore) a D (peggiore, con i consumi più alti). I condizionatori con i minori consumi solitamente hanno la tecnologia inverter, mentre un condizionatore on-off può essere incluso in qualunque classe nel caso risulti consumare quanto il tipo di elettrodomestico (in questo caso il condizionatore) di una stessa classe, con tecnologia inverter oppure no. Spesso i condizionatori con tecnologia on-off non vanno al di sopra della classe C.

La direttiva della Comunità Europea è la n. 94/2/CE del 21 gennaio 1994 e al Decreto 12 aprile 1998 del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato.

La potenza di un condizionatore si misura in BTU/h o frigorie/h.

In Italia non esistono leggi che vietino l'installazione a parete sulle facciate dei palazzi per quanto alcuni articoli del codice civile nella parte dei condomini si presti a delle interpretazioni. Di fatto la legge 10/91 e il DPR 412 di fatto indicano e consigliano l'uso di macchine a pompa di calore.
Il problema nasce sotto il profilo estetico, molti comuni emanano dei regolamenti, per certe vie di pregio, per evitare la vista delle unità esterne che risultano invasive e poco gradevoli.
Anche i condomini possono emanare dei regolamenti condominiali, deliberati in assemblea, che vietano l'installazione delle unità esterne per motivi estetici. L'argomento è controverso in quanto spesso un bene collettivo (la bellezza del palazzo) si scontra con un beneficio privato (la climatizzazione dell'unità abitativa). Il vincolo, spesso è superato, se la persona ha necessità del condizionamento per motivi di salute, con un certificato medico si evita il regolamento condominiale ma non senza problemi. Nell'ipotesi peggiore, si montano i climatizzatori senza unità esterna.

Nonostante l'ignoranza imperante nel settore queste macchine rientrano sotto la Legge 10/91 e le relative conseguenze della relazione tecnica prevista da tale legge.

Va specificato (per i condizionatori destinati per l'ambiente civile) che ricade solo il collegamento relativo alla potenza elettrica per l'alimentazione del condizionatore con l'impianto elettrico di casa. Il collegamento tra le due macchine (sia idraulico che elettrico) non ricade nella legge perché la normativa europea ritiene l'insieme delle due macchine (interna + esterna) un solo componente quindi come se fosse un solo elettrodomestico.

Le norme tecniche di riferimento principali sono:
UNI EN 378-1: "Impianti di refrigerazione e pompe di calore" - REQUISITI DI SICUREZZA ED AMBIENTALI - Requisiti di base, definizioni, classificazione e criteri di selezione.
UNI EN 378-2: "Impianti di refrigerazione e pompe di calore" - REQUISITI DI SICUREZZA ED AMBIENTALI - Progettazione, costruzione, prove marcatura e documentazione.
UNI EN 378-3: "Impianti di refrigerazione e pompe di calore" - REQUISITI DI SICUREZZA ED AMBIENTALI - Installazione in sito e protezione delle persone.
UNI EN 378-4: "Impianti di refrigerazione e pompe di calore" - REQUISITI DI SICUREZZA ED AMBIENTALI - Esercizio, manutenzione, riparazione e utilizzo.
CEI norma 64-8/7 (Impianti elettrici utilizzatori a tensione nominale non superiore a 1000 V ca e a 1500 V cc - Ambienti ed applicazioni particolari)

L’aria condizionata, d’estate, è un valore aggiunto, che dà sollievo in situazioni critiche come ospedali o ambienti di lavoro. Ma va utilizzata in maniera intelligente altrimenti si può trasformare in un problema per la nostra salute. Per prima cosa bisogna evitare gli sbalzi di temperatura che sono deleteri per il nostro organismo e possono provocare sindromi da raffreddamento improvvise. Per ovviare a questo problema non si devono superare i cinque, sei gradi di differenza tra la temperatura esterna e quella impostata sul condizionatore. L’altro accorgimento riguarda il getto dell’aria condizionata che non deve mai essere diretto. Inoltre, quando si entra in un ambiente condizionato come ad esempio un centro commerciale o un ufficio, è bene dare al proprio corpo il tempo necessario per acclimatarsi evitando di sostare nei punti maggiormente refrigerati.

Ma il vero problema riguarda la manutenzione degli apparecchi.

Seguire le poche e semplici regole per evitare malanni legati al cattivo utilizzo dell’aria condizionata non è sufficiente. Alla base ci deve essere una corretta manutenzione dell’apparecchio e in particolare la pulizia dei filtri dell’aria che vanno cambiati spesso e sottoposti a controlli periodici. I filtri si possono trasformare in veri e propri centri di crescita, e in seguito di distribuzione, di germi e di sostanze irritanti. I prodotti che si formano nei condizionatori possono creare episodi allergici nei soggetti predisposti, come ad esempio gli asmatici. L’apparecchio malfunzionante, i filtri sporchi e i contenitori di liquidi possono diventare serbatoi di batteri che vengono nebulizzati nell’aria: in tal modo il soggetto che stazione nell’ambiente è sottoposto a un vero e proprio aerosol di germi e sostanze nocive.

Periodicamente si manifestano casi di Legionella e la colpa ricade anche sui condizionatori.

Il batterio della Legionella è uno dei più pericolosi tra quelli che si possono annidare nei sistemi di aria condizionata, che in questo caso fungono da vettore di distribuzione. La Legionella si è manifestata per la prima volta nell’estate del 1976 negli Stati Uniti. Un’epidemia acuta colpì un gruppo di circa 4mila veterani della American Legion (da qui il nome Legionella) riuniti in un albergo di Filadelfia, causando 34 morti su 221 contagiati. In seguito si scoprì che la malattia era stata causata da un “nuovo” batterio, denominato Legionella, che fu isolato nell’impianto di condizionamento dell’albergo dove i veterani avevano soggiornato. I sintomi della Legionella sono febbre e mal di testa che si possono trasformare in polmonite.

I disturbi dovuti ad uno scorretto uso dell'aria condizionata variano dal semplice mal di gola alla tosse causata dalle sostanze nebulizzate nell’aria. E poi mal di testa e torcicollo. Non sono rari anche dolori osteoarticolari e forme di patologie intestinali come la dissenteria e i crampi allo stomaco. Questo perché il getto d’aria fredda determina una vasocostrizione. Le irritazioni agli occhi colpiscono soprattutto i soggetti allergici. La Sick building syndrome colpisce gli ambienti di lavoro nei quali si utilizzano condizionatori: è una sintomatologia strisciante che colpisce il 15/20 per cento delle strutture lavorative e da luogo a emicrania, stanchezza, tosse e ostruzione nasale.

L’aria condizionata migliora la qualità della vita, ma a patto che crei un ambiente sano ed equilibrato. Se si può scegliere, comunque, meglio preferire un climatizzatore a un condizionatore perché oltre a rinfrescare, deumidifica anche. Oltre il 70 per cento l’umidità inibisce progressivamente la sudorazione, e la mancata sudorazione non consente il fisiologico raffreddamento del corpo, facendo percepire a parità di temperatura un caldo maggiore.

Quando si hanno dei bambini, anche se piccolissimi, l’uso del condizionatore non è controindicato, nemmeno se sono presenti patologie asmatiche sostiene Eugenio Baraldi, presidente della Società Italiana Malattie Respiratorie Infantili, anzi può essere d’aiuto per rendere più sopportabile l’afa dei giorni più caldi e consentire un miglior riposo di notte.

La tentazione, quando si usa il condizionatore, è quella di non aprire le finestre per non disperdere il fresco. Invece è importante arieggiare più volte al giorno le stanze dove il bambino soggiorna o dorme, per evitare l’accumulo di sostanze inquinanti, presenti anche negli ambienti domestici.




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sabato 25 giugno 2016

I DEODORANTI

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Un deodorante è una preparazione cosmetica che ha lo scopo di evitare la formazione di sgradevoli odori corporei. Viene applicato normalmente all'ascella, ma ce ne sono alcuni applicabili anche ai piedi.

Il sudore umano è all'origine inodore, ma rappresenta un ottimo luogo per la propagazione di batteri, che si rendono responsabili del cosiddetto odore di sudore. Tale odore è considerato negativamente in molte culture, di conseguenza, comune è l'uso di deodoranti che, associati ad una regolare igiene corporea, e di altri metodi che hanno lo scopo di ridurre la formazione dell'odore, quale la depilazione, permettono di limitare l'impatto sociale del problema.

L'odore corporeo è influenzato da fattori genetici, dall'età, da quello che si mangia, da fattori ambientali, dallo stress e dall'azione della flora cutanea su lipidi cutanei e sul sudore. Alcuni acidi grassi volatili e maleodoranti sono prodotti dalla azione enzimatica dei batteri sugli acidi grassi a catena lunga naturalmente presenti tra i lipidi cutanei. I principali componenti rilevabili sono:

acido formico,
acido propionico, con un odore leggermente rancido e acetoso, sviluppato prevalentemente da Propionibacterium acnes è una delle componenti dominanti nell'odore di piedi,
acido butirrico, più precisamente nella sua forma ramificata , isobutirrico, è una delle componenti dominanti nell'odore di piedi,
acido valerico, più precisamente nella sua forma ramificata , isovalerico ( acido 3-methyl butanoico ), con un odore di formaggio, sviluppato prevalentemente dallo Staphylococcus epidermidis è una delle componenti dominanti nell'odore di piedi,
acido caproico,
acido caprilico,
acido E-3-methyl-2-hexenoico e acido 3-hydroxy-3-methyl-hexanoico componenti dominanti dell'odore ascellare, specialmente maschile, sviluppati prevalentemente da Corynebacterium
A questi si aggiungono con le note odorose di cipolla, urina di gatto, solfuri, componenti volatili ricavate da precursori ricchi di cisteina.

dimethylsulfone
sulfanyl alkanoli, tra cui 3-sulfanylhexan-1-ol, 2-methyl-3-sulfanylbutan-1-ol, 3-methyl-3-sulfanylhexan-1-ol
e derivati da steroidi come androstenoni o androsteroli.

I meccanismi di azione dei deodoranti sono vari.

Con profumi e agenti mascheranti che coprono o confondono gli odori prodotti dalle principali costituenti del cattivo odore. Le fragranze, anche a lento rilascio o incapsulate in ciclodestrine con rilascio controllato dalla sudorazione, possono mascherare anche per molte ore l'odore corporeo. Alcune sostanze volatili causa del cattivo odore sono a pH acido e possono anche essere neutralizzate con agenti tampone. Questo potrebbe essere uno dei meccanismi d'azione deodorante del bicarbonato di sodio.

Con ingredienti inibenti la crescita della flora batterica cutanea. L'azione antimicrobica si esplica sia a bassa concentrazione attraverso ingredienti classificati nella cosmesi come conservanti, sia attraverso agenti antimicrobici come l' alcol etilico, sali o ossidi metallici, composti chelanti. L'azione antimicrobica si può sviluppare anche con deodoranti con pH fuori dal campo entro cui può svilupparsi la normale flora cutanea.

Antitraspirante con ingredienti che diminuiscono la sudorazione, in particolare sali inorganici di alluminio come il cloridrato di alluminio, l'alluminio sesquicloridrato, l'allume di rocca o di potassio e sali di zirconio. L'azione antitraspirante, riducendo a monte una delle cause del cattivo odore, ha assunto un ruolo determinante al punto che nella cosmesi gli antitraspiranti possono essere considerati una categoria autonoma di prodotto rispetto ai deodoranti.

L'idea di prevenire odori corporei sgradevoli è antica. Nell'antico Egitto si usavano bagni di profumo, la depilazione e il massaggio con oli profumati e infine l'uso di allume come deodorante. L'uso dell'allume era diffuso anche nella Cina antica. Il metodo tuttavia più comune nell'antichità per combattere i cattivi odori corporei era l'uso di pesanti oli profumati.

Nel XVIII secolo si ebbero passi in avanti verso l'invenzione dei deodoranti: si scoprì che le ghiandole sudoripare producevano il sudore e si notò che batteri erano responsabili dell'odore associato. Sapendo che la crescita batterica necessitava di umidità e calore, si cercarono composti che diminuissero l'umidità o che agissero direttamente sui batteri, inibendone la crescita. Nel XIX secolo vennero utilizzate tinture di ammoniaca, che però causavano infiammazioni cutanee.



Il primo deodorante commerciale, Mum, a base di zinco, è stato introdotto alla fine del XIX secolo a Filadelfia negli Stati Uniti. Il nome dello scopritore del Mum è sconosciuto. Il marchio, che deriverebbe dal nomignolo della balia dell'inventore, nel 1932 è stato ceduto alla ditta Brisol Myers, per poi passare nel 2001 alla Procter & Gamble che l'ha concesso nel 2004 in licenza alla svizzera Doetsch Grether.

Il deodorante a sfera è stato invece inventato da Helen Barnett Diserens, alla fine degli anni 1940, ispirandosi alla penna a sfera. Nello stesso periodo si iniziò ad usare il cloruro di alluminio, che in forma chimicamente differente viene utilizzato tuttora. Nel 1965 vennero invece inventati i deodoranti spray, che spesso però contenevano composti innocui per l'uomo, ma con effetti negativi sull'ozonosfera, come i CFC; queste sostanze sono state bandite all'inizio del nuovo millennio.

Per tutti gli ingredienti antitraspiranti composti da sali inorganici di alluminio, come l'allume, il cloridrato di alluminio, ecc., è nota una tossicità sistemica ad alte dosi mentre di una potenziale azione cancerogena, specificatamente per alcune tipologie di cancro al seno esistono solo ipotesi. L'alluminio può essere tossico nei confronti del DNA; i sali di alluminio potrebbero inoltre interagire con i recettori degli estrogeni nelle cellule mammarie.

Diminuire la sudorazione è di per sé è un atto contro natura, che se non adeguatamente equilibrato può provocare dei seri danni al nostro organismo. Le sostanze utilizzate in questi deodoranti antitraspiranti sono principalmente i sali di alluminio. Il loro meccanismo d'azione non è del tutto chiaro, perciò vengono prese in considerazione due diverse ipotesi. La prima consiste in un'occlusione del dotto escretore della ghiandola sudoripara: tale occlusione avviene attraverso la precipitazione delle proteine cellulari, originando una sorta di tappo sul dotto escretore. Il secondo meccanismo d'azione ipotizzato consiste nell'induzione, da parte dei sali di alluminio, di uno stimolo irritativo a livello del dotto escretore, con formazione di un edema locale: questo accumulo di liquidi causa un rigonfiamento che occlude il dotto escretore, con conseguente riduzione della secrezione sudoripara.
Oltre ai sali di alluminio possono essere impiegati anche altre sostanze, come zirconio (che è un sale), cloroidrossilattato, citrato di alluminio e sostanze naturali che contengono tannini dotati di proprietà astringenti. Tra le numerose piante che contengono tannini ricordiamo l'amamelide virginiana, la ratania e l'arnica.

Negli Stati Uniti gli anti-traspiranti sono classificati farmaci da banco.

La scelta del deodorante dipende da esigenze e preferenze individuali. In commercio sono disponibili svariate formulazioni: spray classico, spray no-gas, stick, roll-on, latte, crema, con o senza profumazione, con azione anti-traspirante o meno.
La durata dell'efficacia può variare: per alcuni deodoranti è sufficiente una sola applicazione ogni 7-10 giorni.
In caso di pelle sensibile e facilmente irritabile è meglio orientarsi su un deodorante delicato, privo di propellenti, alcol, coloranti e profumazioni. Il tipo anti-traspirante è consigliato in caso di sudorazione eccessiva.
Tra i principi attivi naturali, la salvia possiede proprietà antisudorali.

L'applicazione del deodorante può provocare irritazione e rossore sulla pelle, soprattutto se la zona è stata depilata di recente, e la presenza di profumi può scatenare allergie nei soggetti sensibili.
È utile alternare prodotti diversi per evitare l'assuefazione e quindi perdita di efficacia.
L'assorbimento cutaneo di sali di alluminio e parabeni, contenuti nei deodoranti anti-traspiranti, è stata accusata di favorire l'insorgenza di malattie degenerative del sistema nevoso centrale e tumore al seno. Allo stato attuale, tale ipotesi è priva di conferme scientifiche.

Se ci si espone al sole, meglio evitare i deodoranti profumati che possono macchiare la pelle.

L'ipotesi di un legame tra l'incidenza di tumori nel quadrante superiore del seno e l'applicazione di cosmetici antitraspiranti ha sollevato una notevole controversia, sia per alcune carenze metodologiche delle prime ricerche pubblicate, sia per l'allarmismo che si è diffuso partendo da ipotesi che necessitano di ulteriori studi. Inoltre per individuare l'eventuale nesso causale, dallo stesso gruppo di ricerca guidato da Philippa Darbre, sono state presentate altre ipotesi: la presenza di parabeni nei cosmetici, la procedura di rasatura dei peli prima dell'applicazione del cosmetico ecc..

Gli studi clinici effettuati non hanno evidenziato alcuna significativa correlazione tra uso di deodoranti o antitraspiranti e cancro della mammella.

Attualmente non c'è nessuna restrizione nell'utilizzo di sali inorganici di alluminio negli antitraspiranti europei.

Per un rischio specifico per chi soffre di malattie renali, la Food and Drug Administration americana ha imposto alcune avvertenze negli antitraspiranti OTC che contengono sali inorganici di alluminio.

A seguito di una proposta dell'agenzia francese per la sicurezza dei prodotti per la salute, AFSSAPS, nella UE è in discussione l'introduzione di un limite, restrizione, nelle concentrazioni massime di sali di alluminio inseribili nel cosmetico. Anche il Comitato scientifico norvegese per la sicurezza degli alimenti, WKM, nel 2013 e l'Istituto tedesco in carico ai prodotti cosmetici, BFR, nel 2014 hanno espresso preoccupazione per la potenziale esposizione all'alluminio a causa del suo non regolamentato utilizzo cosmetico.


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venerdì 24 giugno 2016

DORMIRE CON IL CANE

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Quasi la metà di coloro che hanno un animale domestico usa dormirci insieme nello stesso letto.

Il riposo notturno del cane non è come quello umano: è pur vero che ci sono padroni dal sonno pesante, che non vengono minimamente disturbati dal ronfare canino o dai tanti versi che il proprio animale emette durante la notte: non sono solo gli umani, infatti, a 'parlare nel sonno'. C'è poi il problema - non da poco - delle allergie: il cane, infatti, è un grande portatore di fattori allergenici, dalla polvere ai pollini, i quali, mentre è fuori per una passeggiata, si insinuano nel suo pelo. Se poi ha l'abitudine di schiacciare anche solo un pisolino con il padrone, sarà molto facile trasmetterglieli tra le lenzuola.

Ci sono cani che hanno bisogno di tenersi occupati anche durante la notte e, al minimo rumore, potrebbero avvertire la necessità di svegliare il padrone per dare l'allarme. Ma questo significa dire addio a un riposo sereno e ininterrotto. E, soprattutto: se vi doveste pentire di aver fatto dormire il cane con voi, e voleste cambiare abitudine, potrebbe essere una dura impresa farlo tornare in una cesta, una cuccia o al nudo pavimento. Come biasimare, del resto, quel cane che ha provato la morbidezza di un soffice materasso o la freschezza di lenzuola pulite e profumate?

Tra i rischi che si corrono c'è quello di contrarre un'infezione da Stafilococco o anche la meningite.

Le infezioni da Stafilococco non vanno sottovalutate. Lo Stafilococco, infatti, una volta entrato nell'organismo lo invade, diffondendosi e aggredendo molte parti del corpo. Può partire dalla pelle, le unghie, per arrivare anche agli occhi. Il peggio è quando giunge alle membrane che rivestono gli organi interni come, per esempio, il cuore o i reni. I soggetti affetti da malattie croniche come il diabete; malattie epatiche o renali, tumori e cancro, devono prestare particolare attenzione in quanto più esposti alle infezioni gravi.

Tra le malattie che si possono contrarre dormendo con Fido c'è anche la tigna (una specie di fungo), infiammazioni intestinali causate dagli ascaridi (un'altra famiglia di vermi) o la malattia da graffiatura di gatto, un'infezione batterica molto pericolosa per i bambini.



Uno studio realizzato dal Center for Sleep Medicine della Mayo Clinic di Scottsdale, Arizona, ha analizzato come la presenza di animali possa influire, positivamente o negativamente, sulla qualità del sonno dei loro padroni. La dottoressa Lois Krahn, specialista in medicina del sonno e in psichiatria in detto Centro, sostiene che solitamente i medici non chiedono ai loro pazienti se il loro animale potrebbe avere un ruolo nei loro problemi di sonno.

Il lavoro dell’equipe della dottoressa Krahn ha dimostrato che più della metà dei pazienti della clinica del sonno che avevano animali domestici ha assicurato di dormire con loro nella propria camera da letto.

Per la ricerca, gli studiosi hanno intervistato 150 persone, precedentemente trattate presso il Centro di Medicina del sonno, e il 20% degli intervistati ha dichiarato di essere stato disturbato durante la notte dall’animale a causa dei suoi movimenti, del suo odore o respiro, ma il 41% ha confessato di dormire meravigliosamente bene con il proprio amico a quattro zampe sotto le lenzuola. Sinceramente dal mio punto di vista preferisco la compagnia di un cane .....che di un compagno rompino.....



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sabato 18 giugno 2016

ANIMALI IN VIA DI ESTINZIONE

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Il fenomeno naturale dell'estinzione di una specie è un fenomeno biologico molto lento in un ecosistema equilibrato viene compensato dalla comparsa di specie nuove; si tratta quindi di un fenomeno che non impoverisce la varietà degli organismi viventi.

Diversa, e per molti versi allarmante, è invece la situazione creatasi negli ultimi 150 anni, a partire dalla Rivoluzione industriale: molte specie sono scomparse e altre rischiano l'estinzione non in seguito a fattori naturali ma per effetto della pressione dell'uomo sull'ecosistema. Il numero di specie che si sono estinte in questi anni non ha precedenti nella storia biologica. Se la frequenza delle estinzioni dovesse procedere con l'attuale velocità (circa 30.000 specie per anno secondo alcune stime), o se addirittura, come sembra stia avvenendo, dovesse accelerare, il numero delle specie estinte nella prossima decade potrebbe eguagliare e superare quello osservato in occasione delle grandi estinzioni di massa, l'ultima delle quali, risalente a 65 milioni di anni fa, provocò la scomparsa dei Dinosauri.

Si teme in sostanza che sia in corso la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta. Gli scienziati ritengono inoltre che tutti gli stessi fattori che estinguono gli animali estingueranno lo stesso genere umano.

Secondo i dati della Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), un quarto delle specie di mammiferi e un ottavo di quelle di uccelli sono oggi a rischio di estinzione, così come il 25% dei rettili, il 20% degli anfibi e il 30% dei pesci. Tra i paesi in cui vi sono più uccelli e mammiferi minacciati figurano la Cina, il Brasile, l'India e il Perù. La percentuale di specie minacciate è minore negli artropodi, nei molluschi e negli altri gruppi di invertebrati. Gli anfibi soffrono molto i danni all'ambiente e per questo il loro declino è una delle dimostrazioni dell'incapacità del pianeta di mantenere gli attuali livelli di biodiversità.

In tutto il mondo sono in atto numerosi tentativi per cercare di evitare l'estinzione dei nostri parenti più prossimi, le scimmie antropomorfe: secondo le Nazioni Unite, infatti, a Gorilla, Oranghi, Scimpanzé e Bonobo resterebbero pochi decenni prima dell'estinzione, in natura o totale.

La classificazione delle specie in pericolo è fatta dagli esperti IUCN (l'organizzazione che si occupa di catalogare le specie in pericolo) dividendo le specie in 8 gruppi. 5 di essi fanno capire che la specie è molto minacciata:
Estinto (EX): una specie è estinta quando non si può dubitare che l'ultimo individuo sia morto
Probabile estinto (PE): non si avvistano da tempo individui della specie nel suo areale storico (non ufficiale IUCN)
Estinto in natura (EW): una specie è estinta in natura quando sopravvive solo con individui coltivati (vegetali), allevati in cattività o con popolazioni al di fuori dell'areale originale.
In pericolo critico (CR): una specie è in pericolo critico quando uno dei seguenti criteri è soddisfatto:
Riduzione significativa della specie (nell'ordine dell'80%)
Distribuzione del 1600 ridotta di più dell'85% o con pochissimi (2-5) nuclei all'interno dell'areale originario tutti a potenziale rischio di estinzione
Consistenza della popolazione inferiore a 250 individui adulti ma fortemente fluttuante o in rapido declino
Consistenza della popolazione inferiore a 100 individui adulti
Probabilità di estinzione del 50% nelle prossime tre generazioni.
In pericolo (EN) una specie è in pericolo quando uno dei seguenti criteri è soddisfatto:
Riduzione della specie del 55-79%
Distribuzione del 1600 ridotta del 50-84% o con pochi gruppi (6-10) tutti a rischio di estinzione
Consistenza della popolazione inferiore ai 2500 individui ma fortemente fluttuante o in rapido declino
Popolazione al di sotto dei 1000 individui maturi
Probabilità di estinzione del 20% nelle prossime cinque generazioni.


Sono sempre più numerosi gli animali a rischio di estinzione nel mondo a causa del bracconaggio, della deforestazione e dei cambiamenti climatici. Il bracconaggio riguarda soprattutto specie come gli elefanti e i rinoceronti, che vengono cacciati alla ricerca di materiali considerati preziosi come l'avorio.

La speranza è che i recenti accordi internazionali contro il bracconaggio possano migliorare la situazione e che vengano avviate delle politiche efficaci per la riduzione della deforestazione nelle aree più sensibili del Pianeta, come l'Amazzonia e l'Indonesia.

I gorilla di montagna sono in costante pericolo di estinzione a causa del bracconaggio e della deforestazione. Già nel 2013 nel Parco Nazionale di Virunga se ne contavano soltanto 880 esemplari. E’ il momento di attivarsi davvero per salvare i gorilla di montagna, dato che la loro fine sembra segnata. Ormai in Africa ne rimarrebbero soltanto circa 500.

Gli incendi che distruggono le foreste in Indonesia per dare spazio alle coltivazioni intensive, con particolare riferimento alle palme da olio, stanno mettendo sempre più a serio rischio la sopravvivenza dell’orango di Sumatra, ormai diventato il simbolo della deforestazione e della scomparsa degli habitat naturali.

Sumatra è uno dei luoghi del mondo dove la deforestazione e il bracconaggio stanno mettendo più a rischio la sopravvivenza degli animali selvatici. In pericolo non si trovano soltanto gli oranghi, ma anche gli elefanti, soprattutto per via dei cacciatori di avorio. Il desiderio di denaro e il consumismo dell’uomo sono la prima minaccia per l’estinzione di questi animali.

Il leopardo di Amur, noto anche leopardo dell’Estremo Oriente, rappresenta una specie ormai davvero molto rara. In natura ne sarebbero rimasti soltanto circa 60 esemplari. E’ conosciuto anche come leopardo siberiano. In passato era diffuso in Corea, Cina e Russia ma ora si trova ad alto rischio di estinzione a causa del bracconaggio.

La vaquita, o focena del golfo di California, è una rara specie di focena. E’ originaria della parte settentrionale del golfo della California e alcune delle ultime stime conteggiano soltanto tra i 150 e i 200 esemplari rimasti in natura. Viene classificata dalla IUCN nella categoria più a rischio di estinzione.

I lemuri sono un gruppo di primati presenti solo in Madagascar. Oggi sopravvivono soltanto poche decine di lemuri sull'isola. Purtroppo gli esemplari di questi animali sono sempre più a rischio di estinzione. Secondo lo IUCN, in particolare, negli ultimi tempi la popolazione del lemure settentrionale si è ridotta dell’80%.

Il rinoceronte di Giava si trova in pericolo di estinzione a causa del bracconaggio per via dell’elevato valore del suo corno. Le centinaia di rinoceronti presenti un tempo tra la Cina e il Vietnam si stanno purtroppo riducendo drasticamente. Ora ne rimarrebbero soltanto una cinquantina di esemplari, all’interno di una zona protetta dell’isola di Giava.

La specie della tartaruga liuto, in base ai criteri della Lista rossa IUCN, è considerata in pericolo critico di estinzione. La sua cattura è proibita anche in Paesi che permettono la pesca di altre tartarughe. Sensibilissima all'inquinamento marino, è in pericolo anche per l'ingestione di sacchetti di plastica galleggianti che scambia per meduse e per il disturbo ai siti di nidificazione.

La tigre siberiana è endemica di una ristretta area geografica situata nell'estrema parte sudorientale della Siberia in gran parte corrispondente al massiccio montuoso costiero del Sichote-Alin, e il suo habitat è costituito dalla foresta boreale e temperata mista, due biomi tipici di questa regione. Il suo stato di conservazione - monitorato dagli anni Cinquanta e determinato dallo IUCN nel 1996 e successivamente nel 2008 - la classifica come in pericolo di estinzione.

Il saola è uno dei mammiferi più rari del mondo, noto anche come bue Vu Qang. Il suo habitat si riduce ora ad una zona protetta all’interno di una riserva naturale nel Laos. Il nome saola significa ‘dalle corna affusolate’.

Le specie a rischio di estinzione nel mondo sono sempre più numerose a causa di diversi fattori quali la deforestazione, il bracconaggio e i cambiamenti climatici.



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giovedì 16 giugno 2016

LE INFRADITO

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Le infradito sono calzature estive, un tipo di ciabatte costituite da una suola, prevalentemente liscia (ma ne esistono anche modelli col tacco) e una stringa a forma di Y, con un doppio punto di partenza, a destra e a sinistra dalla fine del tallone e l'inizio dell'arco plantare, che si ricongiuge in un unico punto situato fra l'alluce e il secondo dito: il piede viene quindi infilato nella ciabatta separando queste due dita. Sono costruite con materiali naturali come paglia e cuoio, o sintetiche: gomma o plastica.

Le infradito hanno un'origine antichissima, infatti modelli simili erano già di uso comune nell'antica Roma ed in Grecia dove i modelli più elaborati erano prestigiosi status symbol. Calzature tradizionali in Giappone sono di due tipi: zori e waraji corredati da apposite calze chiamate tabi. Oggi le infradito sono divenute di moda e vengono comunemente indossate perché ritenute da molti comode, ariose e pratiche.

Nonostante la loro ampia diffusione i podologi ribadiscono che le infradito possono causare danni alla salute dei piedi: questo perché il piede ha come unico punto di aggancio alla ciabatta la stringa infradito ed è quindi costretto ad assumere una posizione "a tenaglia" che lo obbliga ad un superlavoro per non perdere aderenza; inoltre le stringhe laterali causano, con il movimento, attrito sulla pelle, che può provocare l'esfoliazione e tra le dita su cui insiste il laccio possono insorgere delle micosi. In ultimo i modelli completamente privi di tacco impediscono il corretto appoggio del piede, impedendo la giusta distribuzione del peso corporeo ed una efficace circolazione del sangue procurando un senso di debolezza alle caviglie e talvolta dolore ai polpacci, mentre nei modelli con il tacco esiste un ulteriore sforzo dovuto al peso mal distribuito. Tuttavia questi danni si riscontrano solo per un uso continuo e prolungato nel tempo.

Secondo uno studio condotto presso la Auburn University le infradito rallentano l'andatura di coloro che le indossano rispetto a chi calza delle scarpe da ginnastica.

Indossare le infradito ci porta a fare passi più brevi, rende la nostra andatura più goffa e aumenta il rischio di inciampare, soprattutto se camminiamo tra la folla.

Le ciabatte infradito hanno una suola molto bassa che è considerata dannosa per i talloni, sottoposti ad impatti continui. Ecco perché indossare le infradito per una giornata intera può provocare dolori ai talloni.



Indossare a lungo le infradito può causare tagli e vesciche a causa della conformazione e dei materiali di cui sono costituite queste ciabatte. Le vesciche sono provocate soprattutto dai continui sfregamenti. Possono formarsi delle ferite aperte molto esposte a batteri e infezioni.

Le infradito possono danneggiare in modo permanente le dita dei piedi. In particolare le nostre dita possono incurvarsi "a martello" a causa dello sforzo necessario per mantenere le infradito nella giusta posizione. Questo sforzo può causare tensioni e dolori a livello dei piedi.

Le infradito hanno una suola piatta che non si piega come farebbe il nostro piede quando camminiamo a piedi nudi quindi altera i movimenti naturali del piede e mette in pericolo la postura corretta.

Le infradito e in generale le scarpe a suola piatta come le ballerine impediscono al piede di muoversi correttamente. Ecco che il corpo è costretto a movimenti di compensazione. Ciò può causare lesioni alle articolazioni, tendinite, dolore ai talloni, intorpidimento.

La giuntura che si infila tra alluce e secondo dito del piede a lungo andare può provocare dolore, fastidio e la formazione di calli che vi costringeranno a cambiare tipo di scarpe.

Le cinghie delle infradito possono essere realizzate in lattice, a cui alcune persone sono allergiche, oppure in plastica contenente BPA, un interferente endocrino molto discusso.

Andare in giro con le infradito trasforma i piedi in un vero e proprio ricettacolo di batteri, di cui lo stafilococco è senz’altro uno dei più pericolosi, ma meglio fare attenzione anche ad infezioni fungine come verruche e 'piede dell’atleta', altamente contagiose, oltre che fastidiose.

LEGGI ANCHE : http://pulitiss.blogspot.it/2016/06/le-crocs.html





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mercoledì 15 giugno 2016

LE CROCS

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La Crocs Inc. (nel NASDAQ CROX) è una compagnia statunitense fondata da Lyndon Hanson, Scott Seamans, e George Boedecker nel luglio 2002. Ha sede a Boulder (Colorado), e commercializza sotto il proprio marchio una sorta di zoccoli in plastica leggera (realizzati precedentemente dalla canadese Foam Creations Inc).

La prima vendita di 200 modelli avvenne nel novembre 2002, presso una fiera navale.

Nonostante una campagna pubblicitaria modesta, la vendita si è sviluppata anche al di fuori degli Stati Uniti. La linea dei prodotti è infatti nota per il design originale e la comodità, infatti sono preferiti soprattutto l'estate quando la calzatura si mantiene fresca e non crea cattivi odori all'interno, grazie al materiale che è studiato proprio per tali fini.

Nel 2006 la Crocs ha acquistato la Foam Creations e con essa il brevetto proprietario della resina schiumosa "croslite", realizzata in etilene vinil acetato (spesso indicato con la sigla EVA), la quale dovrebbe garantire dei benefici podologici.

L'azienda detiene 4 brevetti riconosciuti dagli Stati Uniti riguardanti caratteristiche diverse della sua produzione calzaturiera, ed ha anche indetto azioni legali contro 11 compagnie a cui imputa una violazione.

La linea di prodotti conta vari modelli, venduti in tinte unite di diversi toni oppure in combinazioni di due colori.
Le Crocs, le famosissime ciabattone in gomma che mezzo mondo indossa, danneggerebbero gli arti inferiori.

A dirlo è una serie di podologi, pronti a giurare che le Crocs possono portare a tendinite, peggiorare le eventuali malformazioni dei piedi e provocare problemi alle unghie, oltre a calli e duroni. È per questo che ne raccomanderebbero solo un uso sporadico.

Ad oggi, in molti considerano le Crocs delle scarpe adatte più che altro a persone con problemi di deambulazione, ma, d’altro canto, il fior fior dei personaggi illustri continua orgogliosamente a sfoggiarle.

Ora, però, alcuni podologi americani hanno lanciato dei messaggi non proprio incoraggianti. Megan Leahy, per esempio, podologa di Chicago presso l’Illinois Bone and Joint Institute, ha dichiarato che non fa bene usare le Crocs tutti i giorni e che questo tipo di scarpe non fissa bene il tallone. Anzi, l’instabilità del tallone determinerebbe una non buona posizione delle dita, l’infiammazione dei tendini, il peggioramento delle malformazioni dei piedi e problemi alle unghie, calli e duroni. “La stessa cosa che – continua la Leahy – capiterebbe anche indossando di continuo un paio di infradito”.



In buona sostanza, le scarpe Crocs sono adatte per brevi intervalli di tempo, non devono essere indossate per lunghe passeggiate e non dovrebbero essere indossate per 8-10 ore al giorno.

C’è anche però chi dice che la famosa ciabatta bucherellata non sia così dannosa, nel senso che, mentre è vero che per chi ha un piede piatto o “normale”, possa portare a delle disfunzioni; per chi invece ha un arco plantare molto accentuato, questa calzatura potrebbe proprio essere d’aiuto. Questo lo dice dottor Alex Kor, presidente dell’American Accademy of Podiatric Sports Medicine, ovvero può trarne beneficio chi ha un arco alto o soffre di edema alle gambe e alle caviglie.
In sostanza le Crocs sicuramente non sono scarpe ortopediche, ma nemmeno sono così pericolose, basta avere degli accorgimenti. Sicuramente evitare di usarle per fare lunghe passeggiate, correre o altre abitudini che ve le facciano indossare per lungo tempo. È consigliabile quindi utilizzarle semplicemente come ciabatte da casa ed evitare di indossarle per più di otto, dieci ore.



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